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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Eugenio Montale, La casa di Olgiate e altre poesie

a cura di R. Cremante e G. Lavezzi [Mondadori, Milano 2006]

Una nuova piccola crepa intacca l’integrità del corpus poetico montaliano, raccolto nell’edizione critica curata da Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini nel 1980. Questa volta si tratta di una cinquantina di poesie, composite per qualità e cronologia, che Montale ha donato a Gina Tiossi. Alla fedele domestica del poeta spettano l’onore e il merito di averle donate al Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, che ha poi affidato a Renzo Cremante e Gianfranca Lavezzi il compito di raccoglierle in volume. La maggior parte dei testi risale al triennio 1978- 1980, e dunque ad un periodo in cui la dispersione prosastica della poesia montaliana giunge al suo apice: il 1977 è infatti l’anno del Quaderno di quattro anni, preceduto nel 1973 dal Diario del ’71 e del ’72.

Invece, La casa di Olgiate – che i curatori hanno giustamente scelto come poesia eponima – si distingue nettamente per la sua collocazione più alta, vale a dire il 2 luglio 1963. La poesia risale ad una fase della poetica montaliana ancora segnata da fertili ambivalenze e tensioni: nel 1956 Montale aveva pubblicato La bufera e altro – forse il vertice del suo classicismo moderno – e si avviava ad attraversare un lungo silenzio, cui seguirà nel 1971 Satura, il rovescio – come riconoscerà lo stesso poeta – della grande scrittura ad un tempo modernista e classica formalizzata nelle sue prime tre raccolte.

La casa di Olgiate appartiene dunque ad una stagione complessa, in cui un’ipotesi di civiltà letteraria e di grande stile tramonta definitivamente e in cui, tuttavia, l’eredità del passato non è ancora stata cinicamente liquidata e riemerge prepotente nella forma enigmatica del relitto. Un alone di magia avvolge il luogo stesso che è al centro della rievocazione: la casa abbandonata di Olgiate, «alta sul cavalcavia » dell’autostrada milanese dei laghi, rimanda immediatamente alla casa arroccata sulla rupe dei doganieri (La casa dei doganieri), come quella racchiude in sé le tracce ormai estinte di una donna amata («una parte alitante di te mi bastava»); come l’interno alto-borghese della casa austriaca di Dora Markus (Dora Markus, II) conserva tracce di un mobilio vezzoso e tutto femminile (lì erano «un interno / di nivee maioliche» e uno «specchio annerito », testimoni della perduta giovinezza di Dora; qui «il tuo / boudoir di diciottenne, disammobiliato, / l’impronta appena visibile di un cerchio sul muro – lo specchio –»).

Nella Casa dei doganieri, la donna ormai lontana abbandona il «filo» della memoria, che il poeta ancora tenacemente trattiene all’altro capo; il gomitolo si addipana inesorabilmente e con esso la rapinosa dispersione del tempo. Ecco riemergere questo filo di una doppia memoria – esistenziale e poetica – nella Casa di Olgiate: irrigidito, puntuto e tuttavia spezzato in enjambement, «il fil- / di-ferro del domani, là giunti si troncava». In modo analogo, i versi della poesia (endecasillabi, settenari, versi di area esametrica e doppi settenari) sembrano riesumare la metrica nobile e al tempo stesso composita della Bufera. Nella ripresa c’è anche il rovesciamento, secondo una strategia autopunitiva di riduzione del proprio repertorio più alto che Montale sperimenterà poi in Satura.

E allora se la casa dei doganieri si affacciava a strapiombo sul mare ligure e su un mobile orizzonte lontano, quella di Olgiate è assediata dalla moderna, e inquinata, società di massa: l’«Olona putrido» le scorre accanto; «un crepitare isocrono di macchine» ne invade le stanze. Gli spunti di lettura qui accennati si fondano su un saggio di Gianfranca Lavezzi (Rammendo postumo alla rete a strascico: una poesia “dimenticata” di Eugenio Montale, in «Studi di filologia italiana», LXIV, 2006), che argomenta il giudizio di valore su questo testo e ne svela con discrezione i presupposti biografici. Purtroppo, le note incluse alla Casa di Olgiate e altre poesie – sempre opera della Lavezzi – non rendono conto, neppure in forma sintetica, di questa bella lettura e si soffermano con maggiore generosità solo sugli altri testi.

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