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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Stefano Ercolino, Il romanzo saggio. 1884-1947

[ trad. it. di L. Marchese, Bompiani Milano 2017]

Il romanzo saggio di Stefano Ercolino è un libro com­plesso e ambizioso, che lascia con sentimenti ambi­gui. L’ipotesi interpretativa è accattivante: si tratta di identificare il romanzo-saggio, uno dei generi più in­teressanti della nostra epoca letteraria, come «forma sintetica» che, secondo le meccaniche del paradig­ma emergentista, nascerebbe dalla confluenza e dal reciproco superamento di «due individui ben identifi­cabili, due forme: il romanzo e il saggio» al fine di of­frire una risposta simbolica alla crisi del positivismo e alla «perdita della totalità» registrata alla fine del XIX secolo. A tale scopo vengono mobilitati alcuni preci­si riferimenti teorici (Adorno, Nietzsche, Lukacs, il Moretti delle «formazioni di compromesso») e so­prattutto un’originale scelta di canone e di storiogra­fia letteraria – basata su cinque romanzi, Controcor­rente, La montagna magica, L’uomo senza qualità, I sonnambuli e Doctor Faustus, e su una visione della storia del genere romanzesco fortemente polarizza­ta, che compatta l’Ottocento sul modello di Balzac e gli contrappone Huysmans come massimo rappre­ sentante di una frattura che stacca di netto Au Re­bours dai secoli precedenti, visti come continuità. Il saggio presenta affondi di notevole valore analitico sia sulle opere sia sui testi critici prescelti come per­ni del discorso, con incursioni stimolanti sul concet­to di «saggio» in Adorno e Musil, sul ruolo che la crisi del razionalismo cartesiano ha avuto nel rimodellare alcune esigenze simboliche, sullo spazio e sul signifi­cato dell’irrazionalismo e del messianismo tra la Francia fin de siècle e l’Austria degli anni Trenta.

Tuttavia c’è una caratteristica pervasiva del saggio che rischia di velare la proposta critica, ed è la scel­ta di uno stile espositivo che tende a sviluppare l’ar­gomentazione con un andamento piuttosto asserti­vo, che affida la verifica dei concetti alla giustappo­sizione di citazioni e rimandi bibliografici più che al­lo svisceramento esteso, dando talvolta l’impressio­ne che alcuni nodi teorici, portatori di tensioni con­cettuali certo problematiche ma ricche di valore, risultino affrontati solo parzialmente. L’effetto è che qua e là il peso teorico di alcune affermazioni (come quelle sul romanzo-saggio quale unico genere a in­carnare la dichiarata «morte della modernità») non risulti adeguatamente preparato, e si faccia deside­rare un’articolazione più esplicita e consapevole di alcune categorie (lo stesso «romanzo-saggio» non viene mai esattamente definito). Soprattutto per­ché a tali categorie e alla loro morfologia, microsco­picamente messa a punto, sono affidate le esclusio­ni piuttosto drastiche che sfrondano il campo dell’oggetto letterario in questione: la dimensione «soggettivizzata» a causa della quale sia la Recher­che che la Nausea non sarebbero romanzi-saggi sembra soffrire per mancanza di una chiara diffe­renziazione con la «soggettività» riscontrata in Huysmans e nelle stesse teorie del saggismo evo­cate; così come risultano ardite le esclusioni pesan­ ti di Dostoevskij e Tolstoj, basate su principi che suonano contraddittori (la dialettica del saggismo dostoevskijano non sarebbe abbastanza positiva e fiduciosa nella ricomposizione delle opposizioni – il che però viene detto anche di MusiI) o poco saldi (il saggismo di Guerra e pace sarebbe solo l’esito invo­lontario di un Tolstoj completamente inconsapevo­le dell’uso delle forme e ricondotto alla vulgata del romanzo di ispirazione nazionalistica scritto per compensare l’esperienza della guerra in Crimea). L’impressione complessiva è che l’intrigante pro­posta ermeneutica, che pure giganteggia nel testo e sembra agire come una lente che non ha paura di giocare con le proporzioni di alcuni fenomeni, apra le ali solo in parte e rimanga appesantita da uno sbilanciamento che mette una premura forse eccessiva verso la giustificazione delle esclusioni invece di concentrarsi sulle inclusioni e su cosa “positivamente” dicano del romanzo-saggio, insi­stendo sulla difesa dei confini cronologici prescel­ti (1884-1947) invece di lasciarli emergere dal per­corso argomentativo.

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