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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Pascale Casanova, La langue mondiale. Traduction et domination

[ Seuil, Paris 2015 ]

Ultimo libro di Pascale Casanova, critica letteraria francese scomparsa nel 2018, La langue mondiale è uno studio dei meccanismi della dominazione linguistica, che approfondisce l’analisi cominciata in La République mondiale des lettres (1999). In quest’opera fondatrice, allargando la nozione bourdieusiana di “campo letterario” allo spazio mondiale, l’autrice analizzava i rapporti di forza fra letterature dominanti, o centrali, e letterature periferiche. Al centro del nuovo studio si trovano due fenomeni sui quali Casanova si era soffermata solo brevemente: il bilinguismo collettivo e la traduzione. Analizzandoli in una prospettiva che complica l’approccio “irenico” dei linguisti, Casanova mostra come gli scambi linguistici, lungi dal promuovere l’uguaglianza fra tutte le lingue, valida sul piano teorico, facciano sorgere numerose disuguaglianze e dissimmetrie sul piano sociale. Fra le lingue dominanti esiste una lingua che domina in assoluto, la lingua mondiale, cioè la lingua del potere, che pesa di più nel “mercato linguistico” (Bourdieu), e che procura dei vantaggi simbolici ai suoi parlanti. La lingua mondiale è l’unica che dà del valore aggiunto in traduzione e che è dotata di un “permesso di circolazione”: i testi scritti, o tradotti, nella lingua mondiale si impongono più facilmente all’attenzione della critica, e viaggiano velocemente e senza intralci, rispetto a quelli scritti in lingue periferiche. Quali sono i meccanismi che formano e poi garantiscono il “prestigio”, cioè il potere simbolico, di questa lingua ipercentrale? Casanova risponde alla domanda attraverso un’analisi storica che segue il succedersi di alcune lingue dominanti del passato, in particolare il latino e il francese, facendo l’ipotesi che siano tutte accomunate da un unico modello di funzionamento.

Rileggendo l’evoluzione del francese attraverso la nozione di “diglossia” proposta da C. Ferguson, i primi quattro capitoli ripercorrono le fasi che hanno portato al “trionfo” di questa lingua sul latino e sugli altri volgari concorrenti. Viene messa in risalto l’importanza che la traduzione ha avuto in questo processo come strategia di accumulazione di “capitale simbolico”, e viene mostrato come il modo in cui la pratica traduttiva cambia nei secoli indichi il livello di dominazione di una lingua. Le traduzioni cosiddette belles infidèles del XVII secolo marcano così il momento di massimo prestigio del francese, ormai in grado di imporsi sulle lingue che traduce esercitando una forma di etnocentrismo strutturale. L’analisi prosegue col capitolo quinto, interamente dedicato a Giacomo Leopardi e alla sua riflessione, presentata nello Zibaldone, sulla dipendenza dell’italiano dal francese. Per l’autrice, Leopardi presenta una serie di strategie per lottare contro la dominazione della lingua straniera che possono essere lette come un “manifesto per l’indipendenza linguistica”, capace di fornire una chiave di lettura valida ancora oggi.

Come l’intera produzione critica di Casanova, La langue mondiale è un libro militante, che si basa sull’analisi storica e sociologica per forgiare degli strumenti di comprensione del presente, ed è infatti sulla lingua mondiale di oggi, l’inglese, che si conclude. Per Casanova è necessario lottare contro la dominazione della lingua mondiale di turno “attraverso tutti i mezzi possibili”, per evitare che l’inglese, oggi, finisca per fagocitare le altre lingue, imponendo una monocultura e un’unica visione del mondo. La dominazione della lingua mondiale è innanzitutto di natura simbolica: essa domina perché collettivamente si crede nella sua superiorità, non necessariamente perché è parlata nel paese più forte dal punto di vista economico o militare. Il primo modo, quindi, per contrastare il suo potere è quello di comprenderne l’arbitrarietà, cosa che appunto l’analisi storica permette di fare. La seconda via passa per la traduzione verso le lingue periferiche: una pratica nella quale investire, anche teoricamente, per ripensare e disfare le gerarchie e i rapporti di dipendenza fra le lingue.

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