[ Einaudi, Torino 2024 ]
Nel centenario della nascita di Goliarda Sapienza, esce per Einaudi Autobiografia delle contraddizioni, raccolta di cinque testi autobiografici della scrittrice già pubblicati separatamente: Lettera aperta (1967), Il filo di mezzogiorno (1969), Io, Jean Gabin (postumo, 2010), L’università di Rebibbia (1983) e Le certezze del dubbio (1987). Il volume, curato da Angelo Pellegrino, non nasce solo come omaggio alla memoria e alla volontà di Sapienza, che aveva sempre concepito le proprie autobiografie come appartenenti a un unico ciclo, ma risponde a opportunità commerciali piuttosto evidenti: pochi giorni dopo l’uscita del libro, infatti, Valeria Golino presentava al Festival del Cinema di Cannes il suo adattamento come serie televisiva dell’Arte della gioia.
Se le dinamiche del sistema artistico transmediale hanno senza dubbio influito sulla genesi di Autobiografia delle contraddizioni – auspicabilmente (per Einaudi) il pubblico, incuriosito dalla serie, sarebbe potuto arrivare alla raccolta autobiografica –, è anche vero che, a prescindere dalla trasposizione, tutta l’opera di Sapienza stava già godendo di grande fortuna da almeno quindici anni. Dopo l’exploit francese dell’Arte della gioia, molti editori italiani hanno iniziato a ripubblicare i testi di Sapienza e a far uscire scritture private e testi narrativi rimasti a lungo inediti. Data l’ormai ampia circolazione delle sue opere, allora, il senso dell’iniziativa editoriale di Autobiografia delle contraddizioni non può essere ridotto né alla volontà di riscoprire un’autrice dimenticata, né a calcoli esclusivamente commerciali. Appare semmai decisivo l’intento di canonizzare i testi “minori” di Sapienza – minori rispetto all’Arte della gioia – operando anche alcuni tagli (come l’esclusione di Appuntamento a Positano) per allestire un corpus definito della sua produzione autobiografica.
Leggere Autobiografia delle contraddizioni come un semplice resoconto della vita della scrittrice sarebbe però riduttivo, per quanto i cinque capitoli ricostruiscano alcune tappe fondamentali della sua vita: l’infanzia catanese, i rapporti familiari e la scoperta della vocazione letteraria (Lettera aperta e Io, Jean Gabin); l’arrivo a Roma, i tentativi di suicidio e la terapia psicoanalitica (Il filo di mezzogiorno); la detenzione nel carcere di Rebibbia (L’università di Rebibbia); la vita nella Roma degli anni Ottanta (Le certezze del dubbio). I limiti di un’interpretazione biografica sono suggeriti già dal titolo (autoriale) della raccolta: i cinque testi, pur ispirati dalla volontà di comporre un unico ciclo, non restituiscono quello sguardo sovraordinato e sintetico che ci si aspetterebbe da un’autobiografia tradizionale. Piuttosto, ogni testo tende a riscrivere quello precedente; non tanto perché insiste sugli stessi episodi spiegandoli diversamente, quanto perché, nel corso del tempo, si modifica il modo stesso in cui Sapienza concepisce e dà forma letteraria al racconto del proprio passato. L’aspetto che emerge con maggior forza da una lettura consecutiva dei testi è proprio questa evoluzione: mentre in Lettera aperta e nel Filo di mezzogiorno il passato veniva percepito come il luogo di un trauma che tornava a minacciare il presente, a partire da Io, Jean Gabin questa tensione si scioglie in favore di uno sguardo più disteso sul passato, che, ormai privo di ogni carica distruttiva, può essere riferito con maggior serenità e distacco. Alla diversa articolazione del rapporto tra passato e presente corrispondono una serie di tratti stilistici peculiari, i quali, ben più del dato biografico, rappresentano il vero motivo di interesse delle autobiografie di Sapienza.
Rispetto a quando sono stati pubblicati i singoli testi che compongono la raccolta, il panorama letterario odierno ha rilanciato la figura di Sapienza ed è molto più sensibile alle scritture dell’io. È proprio oggi, dunque, che Autobiografia delle contraddizioni trova il terreno più fertile non solo per essere valorizzato, ma anche recepito e discusso in tutte le sue sfumature.
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