Jonathan Littell, "Le Benevole"
Le Benevole è un romanzo di lavoro. Immerge il lettore nel vissuto quotidiano di una grande burocrazia, mostra come vi si generino efficienze e inefficienze, quali impulsi, radicati nelle ambizioni private e nel gioco di compromessi tra discrasie istituzionali, contribuiscano o intralcino la messa in opera di un progetto politico.
Ci si può chiedere – come fa il narratore a circa due terzi della propria impresa – «a che pro raccontare giorno per giorno tutti questi particolari? […] Quante pagine ho già accumulato su queste peripezie burocratiche prive di interesse?» (p. 753). Sembrerebbe una domanda retorica, dato che il lettore, se è giunto a quel punto del romanzo, non può aver trovato le pagine precedenti completamente «prive di interesse».
È invece una questione sostanziale. Quale attenzione riserveremmo alla carriera del giurista Maximilien Aue, nato nel 1913 e ancora vivo negli anni Novanta, se questa non conoscesse il suo apice tra il 25 giugno 1941 e il 28 aprile 1945; se non fosse implicata nel meccanismo organizzativo che ha condotto alla distruzione degli ebrei d’Europa?
Ci sobbarcheremmo la fatica di districarci in un ginepraio di sigle, gerarchie e gradi, se accanto ai protagonisti fittizi il romanzo non mettesse in scena anche Heinrich Himmler, Albert Speer, Rudolf Höß, Adolf Eichmann? – e sono solo i più noti, della miriade di personaggi che affollano la narrazione, protagonisti di una stagione della storia europea che il senso comune ha eletto a incarnazione del Male Assoluto.
(Anna Baldini)
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