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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Philip Roth, Indignazione

[Einaudi, Torino 2009]

Ogni cosa ha sempre un suo contrappeso di male, nei romanzi di Roth. Non c’è atto o rapporto umano che non sia attraversato, spezzato a metà da un tratto oscuro: «non c’è nulla che non ti si ritorca contro» aveva esclamato il protagonista di Everyman.

Come l’«omino gobbo» benjaminiano, che nella filastrocca infantile appariva per rompere oggetti e ridere del suo riso distorto, piccolo genio delle cose interrotte, anche nei romanzi dell’autore americano un destino notturno e negativo sembra inquinare con le proprie tracce ogni momento di vita e nebulose premonizioni avvolgono quindi i suoi personaggi: l’ansia che nel giugno del 1950 improvvisamente si impadronisce del padre di Marcus Messner, il giovane protagonista di Indignazione, sembra discendere direttamente dai romanzi precedenti – è il continuo dibattersi della morte che sta in mezzo alla piena vita, con cui si confrontano uno dopo l’altro i solitari e sempre fallimentari protagonisti di Roth. Marcus però – l’ultimo della lunga genealogia di ebrei piccolo-borghesi del New Jersey creata da questo scrittore – a differenza dei suoi predecessori è decisamente troppo giovane per presentirlo e il suo ostinato desiderio di vita lo spinge senza troppi dubbi ad abbandonare la casa e il tranquillo college di Newark per sfuggire al padre, macellaio kosher, e alle sue ossessive preoccupazioni.

Marcus infatti è uno «studente giudizioso, responsabile, diligente», aspira ai voti migliori ed è un figlio affettuoso e attento, ma agli occhi del signor Messner queste assicurazioni sembrano non bastare più per coprire il rischio su cui evidentemente si gioca la vita. Lo sfondo del racconto è quello della guerra in Corea e delle sue «sciagure», nel cui segno il libro, circolarmente, si apre e si chiude. Ma il tempo storico non è soltanto uno sfondo (come dirà il presidente Lentz alla fine del libro: «la storia metterà le mani su di voi») – i personaggi vivono piuttosto sotto la minaccia della storia, le loro stesse vite sono messe sotto sequestro dalla storia: l’inspiegabile angoscia del signor Messner è anche il riflesso interiore, la somatizzazione privata e umana dei macelli della guerra e delle trasformazioni sociali ed economiche che nel 1950 cominciano ad intaccare alla radice «l’intera grande repubblica».

Ed è sotto la minaccia della storia che, come un macchinario inarrestabile e incomprensibile, si dipana la breve vita del giovane Marcus, iscrittosi diligentemente alla lezione settimanale di scienze militari nella speranza di finire ufficiale nell’esercito e risparmiarsi l’orrore delle trincee in Corea, e morto pochi giorni prima del suo ventesimo compleanno. La lezione però – la “morale” a cui il breve e intenso arco del libro conduce come a una tragica pointe finale – travalica la dimensione storica, è tutta terrestre e umana: è la misura dello scacco inevitabile, di quel «suono terrificante» che da sempre sembra covare nelle pieghe delle cose.

I pochi giri casuali del destino possono anche sembrare irrilevanti, ma alla fine il piccolo Markie si trova faccia a faccia con la brutalità inesplicabile della realtà e, come ogni altro personaggio di Roth, ne rimane vittima. Nel testo si intrecciano quindi i temi tipici di questo autore: la liminarità storica, l’oscuro prepararsi del tempo in un’epoca di profondi cambiamenti, il rapporto con la figura complicata e irriducibile della donna, fino all’«indignazione» del titolo, l’epica disperata della resistenza alla storia e alla vita.

Ma la bellezza di questo breve romanzo sembra stare ancora una volta, come nelle altre opere di Roth, soprattutto nella tensione interrogativa che lo genera e lo sostiene, nella domanda a tutto campo che l’autore, libro dopo libro, rivolge al mondo con la propria scrittura, scavando al fondo delle cose, che non combaciano mai, ma restano lì dove sono afferrate alla terra sotto di loro – nello «sguardo fisso e indagatore», per citare Sebald, di quelli tra di noi che con ogni mezzo «cercano di penetrare l’oscurità in cui siamo immersi».

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