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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Sara Sullam – Antonio Bibbò, Irish Literature in Italy in the Era of the World Wars

[ Palgrave, Basingstoke 2021 ]

Nel corso del Novecento l’Irlanda è stata un vero e proprio prisma che ha rifratto molte e diverse immagini di sé, e la letteratura irlandese ha goduto di un successo senza precedenti. Se ciò è accaduto, è perché in quelle immagini si sono rispecchiate di volta in volta diverse persone, nonché movimenti artistici, culturali, politici. Il libro di Antonio Bibbò offre uno studio articolato e documentatissimo sulle fortune e sfortune dell’Irlanda, che nell’Italia della prima metà del secolo è stata cattolica, rivoluzionaria, fascista ed è nata come nazione indipendente. In un corposo volume che testimonia una lunga consuetudine con la materia irlandese – la quale, come capiamo dalla primissima pagina, va ben oltre Joyce – Bibbò offre una vera e propria lezione di metodo. Per comprendere appieno l’impatto della letteratura irlandese senza partire da una concezione statica ma cogliendone invece le rapide trasformazioni e il carattere ibrido, Bibbò studia la ricezione e la traduzione della letteratura irlandese da una prospettiva imagologica, ossia concentrandosi sul modo in cui le immagini influenzano la percezione delle culture e delle letterature straniere. L’enfasi cade quindi sulla diversità e sulla mutabilità di queste immagini, in chi le crea come in chi le riceve e le rielabora, mantenendo così l’attenzione sia sulle opere e sull’immaginario, sia sulla dimensione umana e materiale dello scambio.

Il libro si articola in cinque capitoli che vanno dagli anni immediatamente precedenti la Grande guerra al post-1943. La messa in dominante della scansione cronologica evidenzia gli snodi cruciali dei due contesti in cui si rifrangono le immagini: quello Irlandese, che vede naufragare il tentativo di ottenere l’autogoverno (Home Rule) alla vigilia del conflitto e fallire la sollevazione del 1916, per poi conquistare l’indipendenza nel 1921; e quello italiano, percorso nei primi anni del Novecento da importanti tensioni del mondo cattolico, e poi avviato al ventennio fascista. Se da un lato i modernisti italiani (come Ernesto Bonaiuti) considerano il cattolicesimo primitivo e non corrotto, dall’altro la sede del Pontificio Collegio Irlandese di Roma sarà uno dei centri di promozione di una nuova immagine di Irlanda, quella che si avvia a conquistare una vera indipendenza. Quest’ultima immagine non prevarrà subito, così come faticheranno a trovare un pubblico reale i saggi più politici del giovane Joyce, scrittore e intellettuale di cui poi prevarrà un’interpretazione forse troppo sbilanciata sul suo essere “spatriato”. Negli anni immediatamente successivi al conflitto, in un’epoca di polarizzazione politica, le immagini che si alterneranno saranno quelle di un’Irlanda rivoluzionaria negli scritti del napoletano Dino Fienga, e, in seguito, quella di un’Irlanda in cui si rispecchia il nascente e presto rampante fascismo, cattolica e soprattutto anti-britannica.

Si tratta di immagini che gli stessi “irlandesisti” – primi fra tutti Carlo Linati e Gian Dàuli (del quale Bibbò ricostruisce un profilo appassionato quanto approfondito) – maneggiano con abilità quando non con scaltrezza, vuoi per posizionarsi nel campo letterario italiano (Linati) vuoi per destreggiarsi all’interno delle maglie della censura e tracciare un nuovo territorio nel vasto e mutevole campo della prosa (Dàuli). Joyce, Wilde, Shaw ma anche altri autori, come James Stephens e Brian Donn Byrne, per non parlare di autori teatrali come Eugene O’Neill (americano di origini irlandesi portato in Italia da Anton Giulio Bragaglia), cambiano di volta in volta fisionomia e identità nazionale, con una progressiva insistenza sul loro essere irlandesi, e quindi non inglesi (e nemici).

Forte di un’estesa ricerca d’archivio che ha il merito di riportare alla luce anche documenti mai studiati, come quelli di Bragaglia, il libro di Bibbò riesce a offrire un quadro di ampiezza e complessità inedite, ma soprattutto un quadro dinamico nato da uno studio genuinamente comparatista, che non cristallizza l’immagine dell’Irlanda ma ne fa risplendere la poliedrica complessità.

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