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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 87

gennaio/giugno 2023

“L’épuisement du biographique?”

[a cura di V. Broqua e G. Marche, Cambridge Scholars Publishing, Cambridge 2010]

Alle soglie dell’era 3.0, passare inosservati equivale a rivendicare un’autonomia che le nuove tecnologie pongono di continuo in dubbio, subordinando a forme di protagonismo non sempre ricercate individui e gruppi, le cui esistenze sembrano dover dipendere dal grado di visibilità acquisito in rete, dunque nella sfera pubblica.

In meno di una decade, la presenza dei social network nella vita di tutti i giorni è diventata talmente invasiva, che non è più possibile investigare l’impatto esercitato dalle negoziazioni virtuali sulla quotidianità, senza tenere conto che le categorie di cui ci serviamo per descrivere l’una e l’altra cosa oramai si assomigliano, fino quasi a confondersi. In termini di accessibilità alle fonti, gestione dei dati acquisiti, democratizzazione delle piattaforme di dialogo, internet ha rivoluzionato non soltanto il nostro modo di pensare, ma anche – e in positivo – l’architettura di qualsiasi riflessione preesistente all’avvento del web e suscettibile adesso di adottare una «linearità non lineare», una progressione discorsiva «efficacemente rizomatica». Ciò detto, in una fase durante la quale, pur non potendo più fare a meno del mezzo, abbiamo praticamente smesso di paventarne le derive, i problemi risiedono, in primo luogo, nell’eventualità di obliterare il rischio connesso ad un impiego poco coscienzioso degli strumenti messici a disposizione; poi, in quella di esaltare questi stessi strumenti, a discapito della soggettività di chi ne fa uso. Nonostante la questione non venga mai affrontata di petto, essa emerge con insistenza in molti degli interventi raccolti in L’épuisement du biographique?, ed appare, agli occhi del lettore, come una sorta di denominatore «fuori campo», esplicitato appena dai saggi di carattere introduttivo, che chiariscono bene l’organizzazione interna del volume.

Diviso in quattro parti articolate ciascuna intorno a periodizzazioni diverse, ma nuclei concettuali tematicamente coesi, quest’ultimo ambisce a sviluppare un’indagine a dir poco approfondita della biografia intesa non tanto come «genere», quanto piuttosto come «parametro»: tentativo – più o meno plausibile a seconda delle circostanze – di addomesticare il reale, e provare a raccontarlo attraverso una successione ininterrotta di metonimie. Dal canto loro, i contributi procedono per analisi a campione, istantanee dedicate all’esame di documenti diversi, ma accomunati tutti dalla volontà d’interpretare la Storia «con le storie», ovvero per mezzo delle vicende personali di chi ha contribuito – in maniera non sempre consapevole – a determinarne il corso. Come per mettere alla prova il postulato di partenza – formulato da François Dosse nella prefazione, e secondo cui le forme si esaurirebbero prima dei contenuti, destinati invece a migrare, senza opporre una resistenza troppo tenace ai mutamenti di codice –, i saggi abbracciano aree geografiche e contesti socio-culturali anche molto distanti, suggerendo un approccio di tipo comparatistico; lungi dal ridurre l’interdisciplinarietà ad una sterile rassegna d’influenze reciproche, fanno del «confronto» un vero e proprio criterio di valutazione, affrancato da logiche esclusivamente consequenziali.

Se nei passaggi dove si dibattono le cosiddette «teatralizzazioni dell’io» i riferimenti all’attualità sono spesso mediati da considerazioni di natura estetica – avvalorate anche dalla propensione per oggetti di studio in prevalenza letterari –, lo stesso non vale per quei capitoli che si concentrano, da un lato, sull’inverosimile scientificità delle operazioni volte a ri-semantizzare un trascorso individuale, dall’altro, sulla polifonia intrinseca a qualsiasi verbalizzazione che dovesse derivarne. È in queste pagine, infatti, che la consistenza dei propositi prende il sopravvento sullo spazio riservato all’illustrazione delle singole occorrenze; è qui che il libro avanza delle ipotesi fondamentali, favorevoli alla messa a punto di quella riconfigurazione in chiave antropologica degli argomenti trattati, che i curatori stessi sembrano auspicare, e neppure troppo fra le righe.

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