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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Maria Rizzarelli, Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia

[ Carocci, Roma 2018 ]

Il titolo sotto il quale Goliarda Sapienza ha riunito la parte più cospicua della propria produzione narrativa, Autobiografia delle contraddizioni, è un ossimoro quasi paradossale, se si intende il racconto di sé come dispositivo testuale in grado di conferire un ordine e un significato univoci alla frammentarietà e all’incoerenza del vissuto; e tuttavia, o forse proprio per questo, riassume in sé alcune indicazioni di lettura imprescindibili per l’attraversamento dell’opera di una scrittrice tanto misconosciuta in vita quanto repentinamente trasformatasi in un “caso” editoriale e critico dopo il successo francese dell’Arte della gioia (solo quest’anno sono usciti, oltre alla monografia di Rizzarelli, Writing for Freedom: Body, Identity and Power in Goliarda Sapienza’s Narrative di Alberica Bazzoni e Goliarda Sapienza. Un’autrice ai margini del sistema letterario di Gloria Scarfone): da un lato la prossimità costante e la sempre imperfetta coincidenza di vita e scrittura assicurata dal genere autobiografico, dall’altro una concezione dell’identità come dislocazione dell’io, fascio dinamico di appartenenze di genere, orientamenti sessuali e modalità relazionali in continuo divenire, per la quale Rizzarelli usa gli aggettivi «nomade» (nel senso che ad esso attribuisce Rosi Braidotti), «eccentrico» (nell’accezione di Teresa De Lauretis) e «queer» (iuxta Judith Butler), esplicitando da subito una delle due direttrici teoriche della sua indagine. L’autobiografismo queer di Sapienza destabilizza i generi nel senso del gender ma anche in quello del genre, come se il sovvertimento del binarismo maschile-femminile si estendesse al nesso vita-scrittura per conciliare nel racconto di sé il referto autobiografico e la libera invenzione, l’esercizio memoriale e la proiezione utopica, il patto autobiografico e il gioco finzionale. Seguendo il filo rosso della performatività, Rizzarelli ripercorre l’intera opera della scrittrice, dagli esperimenti poetici giovanili degli anni Cinquanta, abbandonati per intraprendere la carriera di attrice, alla seconda nascita autoriale inaugurata da Lettera aperta nella seconda metà dei Sessanta, fino alla sfida di scrivere, con L’arte della gioia, un romanzo raffinatamente popolare sul modello della Storia di Morante. Performativa è la scrittura di un’autrice che ha saputo far fruttare, e non solo sul piano tematico, la sua lunga pratica del teatro e del cinema, come attrice ma prima ancora come spettatrice e poi come sceneggiatrice e assistente alla regia del compagno Citto Maselli; performativo è un sistema dei personaggi nel quale le identità e i ruoli di genere hanno meno a che fare con la biologia che con la fedeltà a sé stessi e alla natura cangiante del proprio desiderio. L’altra chiave ermeneutica con cui Rizzarelli legge come un macrotesto la produzione poetica, narrativa e drammaturgica di Sapienza rimanda alla costellazione tematica spazio-corpo-identità: dall’infanzia nei vicoli della città vecchia di Catania alla grande città e alle sue promesse, dalle celle di Rebibbia all’orizzonte marino, la costruzione identitaria dei personaggi femminili si gioca nella dialettica tra costrizione ed evasione, tra universi concentrazionari e spazi eterotopici. Accanto a questo solido impianto teorico, gli affondi analitici nel corpo dei testi offrono un’ulteriore, sorprendente conferma della modernità di un’opera che è essa stessa, forse, un’eterotopia, e che ha avuto bisogno, per essere valorizzata e compresa, di venire abitata da lettrici e da lettori “postumi”; ma dicono anche, talvolta loro malgrado, che la strumentazione stilistica e retorica di Sapienza è figlia dell’oralità, dell’innesto del lessico italiano sulla sintassi del dialetto siciliano, della magniloquenza commista alla sprezzatura, della coloritura fiabesco-avventurosa e del gioco dei travestimenti tipici della tradizione del racconto popolare e del teatro dei pupi (non per caso la figura del puparo Insanguine ricorre dalle prime prose fino a un testo degli anni Ottanta come Io, Jean Gabin). Il suo queer ha un cuore antico.

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