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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

James Joyce, Lettere e saggi

[ a cura di E. Terrinoni, trad. it. di Gio. Melchiori, Giu. Melchiori, R. Oliva, S. Sullam, Il Saggiatore, Milano 2016 ]

Gli scritti presenti in questo volume curato da Enrico Terrinoni costituiscono un prezioso contributo alla conoscenza e allo studio di James Joyce. Le due parti in cui il testo si articola propongono una scelta delle lettere scritte da Joyce e pubblicate postume da Faber & Faber, e una raccolta di saggi composti tra il 1897 e il 1938.

Le lettere registrano la parabola artistica e umana di Joyce, dai primi approcci alla scrittura fino alla sua produzione più matura, dai primi timidi scambi con Nora (che poi com’è noto sarebbe diventata sua moglie) alle lettere intime e carnali che Joyce le scrive in una condivisione di corpo e mente, terreno e sublime, di rara intensità. La prima lettera del volume è datata 28 aprile 1900, ed è una nota di ringraziamento a William Archer, l’autorevole traduttore inglese di Ibsen, in occasione della pubblicazione sulla «Fortnightly Review» della recensione del dramma di Henrik Ibsen, Quando noi morti ci destiamo. L’ultima risale al 4 gennaio 1941, nove giorni prima della sua morte: Joyce si rivolge in italiano a suo fratello Stanislaus per comunicargli alcuni indirizzi di colleghi e amici. Nel mezzo c’è tutta una vita fatta di lettere che raccontano successi, dolori, preoccupazioni per la salute della figlia Lucia e per le precarie condizioni economiche che da sempre affliggono la sua famiglia.

Suddivise in cinque sezioni, introdotte dalle note puntuali di Terrinoni, Ruggieri, Melchiori e Scarpato e accompagnate da un ottimo apparato di note esplicative, le lettere seguono una scansione temporale e spaziale che guida il lettore attraverso i numerosi spostamenti che punteggiano la biografia di Joyce. Di particolare interesse, per il pubblico italiano, è la ripubblicazione delle Lettere (volume curato da Melchiori nel 1974), in cui per la prima volta si riportavano le missive che Joyce scrisse in italiano, fino a quel momento pubblicate solo nella traduzione inglese. Nella configurazione pensata da Terrinoni, esse escono dal loro carattere di nicchia e di aneddoto, per essere inserite in un contesto più ampio che ne permette una fruizione più profonda e consapevole. Tutte insieme contribuiscono a quella che Melchiori ha definito «un’autobiografia essenziale» dello scrittore, in cui vita privata e pubblica si fondono e confondono continuamente.

I saggi contenuti nella seconda parte del volume sono di vario genere. Si va dagli articoli pubblicati per «Il piccolo della sera» alle trascrizioni delle conferenze tenute per l’Università Popolare di Trieste, ai saggi inglesi e miscellanei, come quello sull’afta epizootica che tanta eco avrà nell’Ulisse. Questi scritti offrono un’immagine di Joyce meno nota al grande pubblico: danno per esempio conto del suo interesse verso la politica irlandese, e raccontano le passioni letterarie e la fascinazione per autori difficili come Giordano Bruno, o incompresi come William Blake e James Clarence Mangan. Alcune delle riflessioni qui proposte rappresentano poi un prezioso ausilio critico per l’interpretazione delle sue opere maggiori. Si pensi ad esempio alla recensione del dramma Salomé di Oscar Wilde: la lettura che Joyce ne dà si è rivelata essenziale per la comprensione di quel racconto perfetto che è Un incontro. In questa seconda parte si ritrova anche la già citata recensione sul dramma di Ibsen: lettere e saggi s’intrecciano e contribuiscono a tessere la trama di una vita in cui la banalità del quotidiano è trasfigurata da quello che Blake avrebbe definito il genio poetico.

Infine l’introduzione del curatore e la nota della traduttrice Sara Sullam, poste in apertura e chiusura della raccolta, offrono le coordinate essenziali per una lettura consapevole dei testi. Questo è un volume necessario per il lettore comune e per lo studioso, perché intreccia in un accordo perfetto scritti critici e privati, scampoli di vita vissuta e momenti di intensa ispirazione, restituendoci un Joyce più autentico e accessibile nella sua disarmante umanità.

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