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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Jonathan Franzen, Zona disagio

[Einaudi, Torino 2006]

La forma mémoire di Zona disagio sembra rappresentare per Jonathan Franzen l’approdo ultimo nella ricerca di «frasi autentiche» annunciata nel saggio Perchance to Dream (1996). Scrivendo Le correzioni (2001) Franzen aveva abdicato al ruolo del romanziere come critico sociale e aveva incentrato il racconto sulla vita privata famigliare; Zona disagio svela che i genitori delle Correzioni, i Lambert, nascono da uno spunto autobiografico: «Mia madre mi sembrava orribilmente conformista e inguaribilmente ossessionata dal denaro e dalle apparenze; mio padre mi sembrava allergico a qualunque tipo di divertimento» (p. 28). Tuttavia, così come il punto di forza delle Correzioni era la capacità di inserire le vicende dei Lambert in quelle dell’America anteriore all’11 settembre, le parti più interessanti di Zona disagio sono quelle in cui il personale entra in rapporto col collettivo.

È quanto accade nel primo e nell’ultimo dei sei capitoli divisi per temi. Negli anni Sessanta, mentre i Franzen vivono uniti «nel mezzo della nazione, nel mezzo dell’età dell’oro della classe media americana» (p. 13), la società vede la più equa distribuzione del reddito della sua storia, mentre i tre fratelli si trasferiscono sulle coste proprio quando la nazione abbandona il suo “centro economico” a una nuova spietata polarizzazione («Questo è un grande momento per essere un amministratore delegato americano, e un brutto momento per essere il suo dipendente meno pagato », p. 16). Franzen è convincente anche nelle pagine in cui riconosce di aver cominciato ad amare la madre solo verso la fine dei suoi giorni, allorché da bird-watcher si accorge che la fragilità di lei è simile a quella degli uccelli di fronte alla minaccia del global warming.

L’autore però eccede nel cercare ovunque rispecchiamenti e legami simbolici: ad esempio non è chiaro in che modo il fallimento del suo matrimonio vada di pari passo col progressivo degrado ambientale. Piuttosto confuse sono inoltre le pagine su Goethe, Rilke, Kafka, Mann, proprio perché Franzen insiste nel voler collegare la sua scoperta della grande letteratura tedesca con quella del sesso. Il fallimento è evidente nel breve racconto in terza persona sulla perdita della verginità: si vuol descrivere la scena alla maniera di “uno di quei romanzi” tedeschi, ma il risultato è piuttosto un’imitazione di certo minimalismo americano alla Raymond Carver. L’arbitrarietà con cui all’interno dei singoli capitoli si mutano di continuo tempi e argomenti, giustapponendo riflessioni ed episodi spesso inessenziali, porta all’estremo la tendenza, già presente nelle Correzioni, a privilegiare la molteplicità delle stories rispetto all’unità del plot.

La strategia funziona se si ha una significativa compenetrazione tra presente e passato, come quando Jonathan torna a Webster Groves per vendere la casa familiare dopo la morte della madre e si trova ad affrontare i fantasmi di tutta una vita. Coscientemente scisso tra la sua compiuta esistenza adulta e la persistenza del diciassettenne che sente vivere dentro di sé, l’autore indulge sulla propria adolescenza, con descrizioni sin troppo particolareggiate delle sue piccole avventure di nerd in cerca d’integrazione sociale tra compagni atletici e spigliati e compagne attraenti e sicure di sé. Anche quando si passa all’età adulta, l’obiettivo è puntato sui propri aspetti meno nobili (poco si viene a sapere ad esempio del successo professionale); tuttavia il movimento di degradazione non è mai privo d’indulgenza e appare sempre implicitamente bilanciato dalla soddisfazione di chi, nonostante tutto, “ce l’ha fatta”.

Pur a rischio solipsismo, l’opera conferma la maestria stilistica di Franzen nel descrivere episodi rivelatori come il triste giro sulla giostra di una tardiva gita da adolescente coi genitori a Disney World, momento di presa di coscienza che «il figlio […] felice di un tempo non desiderava altro, ormai, che allontanarsi da loro » (p. 28). Lavoro intimamente necessario per l’autore quanto interlocutorio per il lettore, Zona Disagio conferma qualità che aspettiamo di ritrovare nel prossimo romanzo.

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