allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 87

gennaio/giugno 2023

Nanni Balestrini, Tristano SH3005-copia unica

[Derive&Approdi, Roma 2007]

Nel ’66 Balestrini pubblicò Tristano (Feltrinelli), “romanzo” costruito aggregando, col computer, spezzoni di testi di varia natura; nel 2007 lo ha ripubblicato (Derive&Approdi) in un numero aumentabile a piacere di copie “uniche”. Le copie sono realizzate scomponendo e ricomponendo in modi diversi il primo Tristano. «L’operazione», avverte la Nota dell’autore, «mette in crisi il dogma della versione originale, unica e definitiva, di un’opera letteraria». È un gioco, insomma, che acquista un senso solo se un po’ pilotato. È improbabile che si debba al caso il brano del Tristano originario che si trova alle pp. 33-34 e che comincia: «Io quando finì la guerra avevo solo dieci anni e così non mi accorsi che era finita la guerra non m’ero accorto nemmeno che c’era stata questa dannatissima guerra e così mi persi la grande esperienza della liberazione», e termina: «Lo spirito della resistenza doveva diventare la base della repubblica ma in questo voi avete fallito e fallite».

È un’analisi fatta in una prospettiva operaista, che viene ripresa in un lungo brano alle pp. 86-87, del fallimento dell’ideologia resistenziale del PCI. Il discorso è così strutturato, e così connotata è la prospettiva ideologica, da orientare inevitabilmente il lettore: il caos prodotto dalla caduta delle speranze rivoluzionarie è imputabile al fallimento delle forze politiche che affermavano di ispirarsi alla Resistenza. È chiaro che alcuni frammenti immessi nel computer erano stati precedentemente aggregati non dal caso ma da una mente umana. La loro presenza, dovunque essi fossero andati a finire nella ricomposizione, era destinata ad essere subito avvertita dal lettore, che vi avrebbe costruito intorno un senso.

Ma un senso lo scorgo anche in un intero paragrafo (p. 119) della copia della ristampa 2007 capitata a me (SH3005), dalla scrittura franta e suggestiva, che rappresenta una realtà postindustriale disgregata, corrotta e totalmente non conflittuale, assai diversa dalla realtà ancora strutturata e conflittuale degli anni ’60. Come in altri brani di altre “copie uniche” che ho potuto leggere. Per comprendere la funzione che ha, per Balestrini, il gioco di scomporre e ricomporre il linguaggio, bisogna però considerare opere assai più importanti del Tristano, in cui egli si rivela uno dei più forti scrittori realisti degli ultimi decenni. Come altri autori della neoavanguardia, Balestrini teorizza una scrittura narrativa che nasca non dalla mimesis ma dalla ricerca di un linguaggio “artificiale”.

L’artificialità gli è necessaria per sentirsi del tutto libero dalle tentazioni del soggettivismo e dello psicologismo, che egli aborre in quanto essenzialmente borghesi. Uno straniamento come quello, sul modello verghiano, usato da molti scrittori neorealisti, consistente nell’assumere il punto di vista di personaggi proletari, non lo soddisfa, evidentemente perché non lo garantisce da un “ritorno del represso” borghese, sentimentale o ideologico; lo garantirebbe invece la tecnica del collage di materiale verbale. In realtà in quasi tutte le opere narrative di Balestrini, scritte, egli ha affermato più volte (per esempio nell’intervista ad «Allegoria» 45, 2003), in un linguaggio costruito a freddo con materiali verbali esistenti, un “ritorno del represso” per fortuna c’è.

L’artificialità è lo schermo che permette all’inconscio di nascondersi mentre si libera dai condizionamenti ideologici. Così, per esempio, l’operaio di Vogliamo tutto è oggettivamente, nel contesto storico in cui agisce, una forza rivoluzionaria, ma è anche soggettivamente spregevole: tipico rappresentante della canaille sottoproletaria di cui parlava Marx (e preannuncia la deriva qualunquistica e terroristica che seguì le più avanzate lotte operaie degli anni ’70); e così la figura dell’“editore” è rievocata da personaggi-narratori di sinistra e di destra, ma sono quelli di destra che ne fanno il significativo emblema della deriva culturale e psicologica di un certo tipo di intellettuale. Il “ritorno del represso” rende possibile l’ambivalenza del messaggio che l’opera trasmette, e la sua funzione dialettica e conoscitiva.

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