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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Slavoj Žižek, In difesa delle cause perse. Materiali per una rivoluzione globale

[Ponte alle Grazie, Milano 2009]

L’attacco, pirotecnico, induce a diffidare. Si fa appena in tempo a registrare l’inversione di soggetti con cui viene torto il collo al motto latino, prima di promuoverlo a titolo dell’introduzione – Causa locuta, Roma finita – che Žižek entra in scena nei panni impegnativi del kierkegaardiano Cavaliere della Fede, novello Abramo capace – perduto tutto – di compiere il «Salto» che per via d’assurdo gli restituirà tutto. Ma ci vuol poco a capire che brillantezza e talento, qui, anziché lasciati cinicamente galoppare sulle traiettorie sempre diverse e sempre uguali dell’irrilevanza, devono mordere il freno di una disciplina che li indirizza a servire una causa, per quanto o proprio in quanto persa.

Il passo ondivago del libro, fitto di digressioni – alcune magnifiche – che spostano repentinamente l’attenzione da un oggetto a un altro, dove Hannibal Lecter può servire a spiegare Badiou, e la frase del personaggio di un videogioco illustra un postulato della teoria marxiana, risulta appositamente pensato per agganciare quanti più campi possibile e operare in essi il medesimo gesto, che li unifica e insieme li sovverte. Perché le cause perse – la lotta per l’emancipazione universale, la dittatura del proletariato – in difesa delle quali Žižek si dichiara «messianicamente » schierato, sono perse?

In prima battuta perché lo scenario odierno sembra interamente occupato da discorsi e pratiche locali che, per esorcizzare la bestia nera della Totalità, rifiutano ogni forma di riduzione e di sintesi, bollata come metafisica e/o totalitaria. Žižek cita a questo proposito la massima che secondo Badiou regola gli odierni «materialismi democratici»: ci sono solo corpi e linguaggi, senza alcuna cornice simbolica condivisa. Ma ad un livello più profondo le Cause sono perse perché, per evidenziarne il nucleo di validità universale, ad esse bisogna sempre tornare, dopo che i precedenti tentativi di tradurle in pratica hanno fallito miseramente. È qui che si vede la matrice propriamente lacaniana del pensiero di Žižek.

La Causa non è altro che la Cosa/das Ding che Lacan pone come estranea nel cuore della soggettività, il mostruoso e inumano Prossimo che disfa tutte le abitudini e le virtù del soggetto ed è ciononostante la mira di ogni sua autentica ricerca. Ci sono momenti nella storia – gli Eventi di Badiou – in cui la Cosa, il Reale, fa irruzione nella trama degli avvenimenti, distrugge ogni gerarchia e sistema di valori precostituiti ed instaura nel mondo l’universalità – e il terrore (la Rivoluzione Francese, la Comune di Parigi, la Rivoluzione d’Ottobre, la Rivoluzione maoista); ma il nucleo più autentico e più inumano dell’Evento viene ben presto tradito e neutralizzato, e mentre il mondo si va ricucendo attorno ai suoi disastri (uno su tutti lo stalinismo) questo nucleo si ritira, diventa virtuale e non frequenta più il palcoscenico della storia se non come spettro, presenza-assenza infestante.

Per questo alla Causa/ Cosa (persa) bisogna ritornare, per ripeterla differentemente, e dare una nuova occasione all’inumano. Occorre individuare i falsi (cioè ideologici) antagonismi che strutturano il campo sociale, mostrare la relazione supplementare che lega i due poli pretesi opposti (ad esempio la democrazia liberale e multiculturale dell’Occidente e il fondamentalismo islamico), e tramite «sottrazione» – cosa molto diversa, secondo l’autore, dall’«esodo» di Toni Negri, perché non è una fuga dall’Egitto verso un altro mondo, ma una modalità di intervento in questo – rimettere in contatto lo spazio amministrato dal «servizio dei beni» (ancora Lacan) con la «violenza divina» (stavolta è Benjamin) che indistingue tutti i valori in un atto costituente. Quando la Cosa/Causa parla, insomma, l’Impero trema. Ma la Cosa può parlare, oggi, solo se il Cavaliere della Fede, con il suo «salto», riesce a stabilire con essa un rapporto assoluto, che non passi cioè per la mediazione della doxa e del senso comune.

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