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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Nicola Lagioia, Riportando tutto a casa

[Einaudi, Torino 2009]

Secondo una delle narrazioni più inflazionate degli ultimi anni, il decennio 1980-1989 costituisce il momento fondamentale della storia presente: non tanto perché fu il tempo in cui si consumarono gli eventi chiave della rivoluzione geopolitica dell’Occidente, ma soprattutto perché negli anni Ottanta la mutazione dell’immaginario sarebbe avvenuta in maniera più drastica e invasiva che in qualunque altro decennio del secondo dopoguerra. Alcuni dei narratori italiani nati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta stanno cercando di elaborare questa narrazione storica in forma romanzesca. Il loro interesse principale sembrerebbe quello di rendere evidente il rapporto di esemplarità che lega gli individui a una dimensione collettiva disintegrata sul piano politico, ma ricompattata dal consumo di massa.

Pur aspirando alla complessità antropologica della grande tradizione realista, questi narratori si trovano ancora a dover sciogliere uno dei nodi del postmoderno: è possibile narrare in maniera piena e complessa esistenze individuali immerse in una realtà piatta e simulata? È questo il nodo che Nicola Lagioia affronta nel suo ultimo romanzo, Riportando tutto a casa, storia di una formazione messa in prospettiva da una voce narrante in prima persona. L’impianto narrativo, saldo nella gestione dei tempi della storia e nella creazione di una distanza prospettica ma non emotiva, riprende sia i modelli più canonici del Bildungsroman, sia la sua versione riduzionista, centrata sullo svuotamento dell’esperienza.

Il concetto su cui si fonda la filosofia della storia di Riportando tutto a casa è, infatti, quello di «trauma senza evento» (p. 278): le vite dei tre adolescenti protagonisti appaiono come il frutto di un’epoca in cui i grandi eventi (Chernobyl o la caduta del muro di Berlino) costituiscono dei semplici frammenti di esperienza osservati attraverso lo schermo televisivo e accostati ai dettagli di una vita quotidiana inquieta, ma priva di «un fatto dal quale far discendere tutti gli altri, e al quale richiamarsi con certezza» (p. 278). Il narratore sembra lamentare la mancanza di uno storicismo lineare ma, tutto sommato, rozzo: la feticizzazione delle date storiche (si evocano l’8 settembre e il 25 aprile) è ingenua e dimentica che quelle date non sono chiodi a cui appendere i mutamenti epocali.

Qui risiede uno dei punti deboli del romanzo: Lagioia crede nella grande narrazione che ha eletto gli anni Ottanta a decennio cruciale dell’ultimo scorcio di secolo, è convinto degli effetti derealizzanti dei media sulle vite dei singoli, si sofferma ad analizzare in micro-saggi sociologici, alla Siti, gli oggetti della cultura di massa, ma sembra incapace di sottoporre a una critica profonda quanto mette in scena. I rapporti tra il protagonista e i suoi amici, Vincenzo e Giuseppe, così come la loro scoperta dell’eroina, sono indagati in maniera difettosa, “letteraria” e poco credibile: l’impianto realistico del romanzo ne soffre e si arena in zone lacunose, in cui l’autore sembra indeciso tra un’intenzione sociologica, una simbolica e una psicologica.

L’analisi dell’ascesa della famiglia dell’io narrante è, invece, più compiuta perché in essa meglio si fondono la costruzione dei caratteri, la resa dei meccanismi di distinzione sociale e dello “spirito del tempo”, altrove evocato a colpi di ricordi di trasmissioni televisive. Quello che manca al romanzo è un’antropologia che sappia riconoscere nella condizione storica dei personaggi una vera dimensione di conflitto. L’ansia di uscire dall’orizzonte postmoderno di Occidente per principianti produce scompensi in Riportando tutto a casa: il tentativo di ripensare in maniera nuova il rapporto tra la Storia, le vite singole e le strutture della società di massa è coraggioso e a tratti anche riuscito. Resta, però, la sensazione che Lagioia non abbia ancora trovato il respiro per mettere in questione l’interpretazione di un’epoca e i suoi corollari ideologici: l’idea consolatoria, soprattutto, che negli anni Ottanta niente è accaduto eppure tutto, per effetto di “riflusso”, si è modificato.

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