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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Luigi Zoja, Paranoia. La follia che fa la storia

[Bollati Boringhieri, Torino 2011]

Luigi Zoja ha scritto un libro ambizioso, molto bello e molto discutibile, di cui bisognerebbe parlare a lungo. Il tentativo è quello di articolare una teoria psicologica con una storia dell’Occidente sotto il segno della paranoia; la dettagliata fenomenologia della mente paranoica fa da griglia all’interno della quale gli eventi e i personaggi storici – epocali tutti: la conquista delle Americhe, la storia degli Stati Uniti, i nazionalismi ottocenteschi, le due guerre mondiali, Hitler, Stalin, la tensione fra superpotenze, fino ad arrivare alla scena odierna, apparentemente più neutra ed informe – producono volume e fungono da exempla.

Il ponte tra mente e storia è garantito dalla natura peculiare della paranoia, che installatasi nel singolo investe l’intero campo degli altri e del mondo: il nucleo delirante dalla pseudologica blindata tipica del paranoico è secondo Zoja il relais che gli permette di trasformare nell’ostilità di un esterno la propria incapacità di stringere relazioni con quell’esterno. L’intero mondo, al limite, si popola di nemici, e diventa per il paranoico lo spazio operativo nel quale prevenire gli attacchi che sicuramente gli saranno (gli sarebbero stati) sferrati.

Ogni paranoico alberga dunque almeno in potenza una storia universale; e negli ultimi due secoli è capitato spesso che alcuni «paranoici di successo» siano riusciti a dar seguito, nella realtà, ai loro deliri. Gli orizzonti ampi e gremiti del libro mettono in guardia dal tentarne un riassunto; forse invece una planimetria potrà essere d’aiuto nell’evidenziarne alcune concettualità importanti. Il grosso nucleo di analisi storico-psicologica è racchiuso da un guscio.

Due coppie di personaggi mitologico-letterari aprono e chiudono il volume: Atena e Aiace, Iago e Otello. Al di là dell’indubbia efficacia argomentativa e narrativa, questa scelta dice che la paranoia, alla radice, è sempre questione di una voce che arriva a un individuo, solo, in uno spazio chiuso (la tenda di Aiace, il palazzo di Otello), e lo incammina sulla strada del delirio. La storia è un effetto, e tutt’al più un medium e un amplificatore, di questa vicenda teatral-individuale.

La paranoia si diffonde da mente a mente come un’infezione, e trova un clima storico fertile nella modernità, grazie anche ai potenti mezzi di comunicazione che questa finisce per metterle a disposizione (Zoja riprende un lungo discorso sulla radio come strumento ritribalizzante), ma il contagio può progredire perché in ciascuno, singulatim, c’è un piccolo paranoico in potenza. Qui si fa sentire un presupposto junghiano: la dimensione centrale per qualsiasi discorso è l’individuazione, e la ricerca per la realizzazione del Sé.

La paranoia è un fallimento, dalle enormi conseguenze possibili, dell’individuazione, e per opporvisi è sempre all’individuo che bisogna fare appello. Se Iago è la personificazione di una forza archetipica, allora bisognerà che ciascuno, per conto suo, si sforzi di resistergli. E l’unico modo di farlo sta nel riconoscere, ciascuno per conto proprio, che la colpevolezza che Iago vuole tutta degli altri, è in realtà anche nostra. Rivolgendogli contro la sua stessa arma, Iago può essere addomesticato; la morte si cura con una razione omeopatica di morte.

Uomini soli, tristi e colpevoli, con stoicismo diminuito lottano per tenersi a bada, giorno dopo giorno. C’è in Zoja una specie di terrore implicito per la dimensione collettiva, comune, partecipativa. L’unico attore collettivo di questo libro è la «plebe», più o meno tecnicamente avanzata, sempre fatta oggetto di commiserazione se non di disprezzo, e contrapposta ai pochi individui illuminati. Questo disprezzo arriva ad esprimersi in forme stranamente vicine a quelle del paranoico, che vede tutti i suoi nemici come subumani o bestie, quando la «plebe» viene definita «gregge».

Viene il sospetto che, partendo dalle categorie che mi sembra diano forma al libro di Zoja, qualunque movimento basato sul collettivo e su presupposti non personologici o in vario modo soggettivistici riceverebbe lo stesso trattamento.

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