allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Franco Rella, Ai confini del corpo

[ Feltrinelli, Milano 2000 (1); Garzanti, Milano 2012 (2) ]

Più che un libro, Franco Rella elabora con Ai confini del corpo una complessa costellazione, composta da una miriade di stelle maggiori e minori. I 179 frammenti di cui è composto il volume sono infatti i tasselli di un mosaico, il cui senso va trovato attraverso il campo di tensione che ogni elemento – al tempo stesso dettaglio e totalità – stabilisce con il tutto. C’è il metodo di Benjamin, dietro questa struttura, certo, ma anche un’originale scommessa: il montaggio dei frammenti non è più allegoria e mappa della città moderna, ma del corpo. È l’unico strumento conoscitivo che può avvicinarlo, decifrarlo, renderlo parlante e dicibile. Il corpo è una entità plurale, molteplice, sfuggente, attraversata da mille soglie (p. 187) che sono i transiti, i passaggi, gli attraversamenti delle nostre vite; la parola soglia, ci ricorda Benjamin, comprende in sé «mutamento [… ], maree, significato» (p. 344).

Il corpo ha bisogno di questa messa a fuoco mobile, situazionale, metamorfica, ampia e circoscritta nello stesso tempo, anche perché su di esso grava una secolare rimozione, inaugurata dalla condanna di Platone e quasi sempre confermata dalla tradizione filosofica occidentale (anche da una certa attuale deriva del femminismo, tutta incentrata sulla onnipotenza dell’identità mutante, che trascende se stessa e il corpo). Tra le tante voci, vale la pena citare quella di Louise de Bellière du Tronchay, internata alla Salpêtrière nel 1677: per lei il corpo femminile è la «bestia», la «carogna » (p. 259). Questa donna che si esprime con il linguaggio della reclusione e della devianza, questa donna che si rappresenta come il calco inerte della sessualità maschile si firma Louise du Néant, Louise del Nulla.

Tutti i corpi sono devianti, tutti i corpi sono reclusi; su quelli femminili, tuttavia, il dominio maschile ha proiettato le forme di animalità e materialità biologica che poteva, in questo modo, decantare da sé. Per essere finalmente puro pensiero. Louise du Néant, in fuga dal suo essere «bestia» e «carogna ». Il suo pseudonimo ci ricorda che fino a quando rappresenterà solo il femminile, la fisicità continuerà a ricevere proiezioni antifemminili. Ai confini del corpo ricostruisce le tappe, le oscillazioni, le sfumature e anche le controtendenze dell’immaginario maschile moderno, ma lo fa nella forma sintetica, intuitiva del frammento.

Così alcuni brani sono riletture da Baudelaire, Proust, Flaubert e Kafka (Franco Rella, filosofo ed esteta, ci dice che la filosofia ha fallito nel raccontare il corpo; la sua messa in forma va cercata invece nella poesia, nei romanzi), altri sono brevi e intensi appunti autobiografici, altri ancora sono sparse schede di un possibile romanzo nel quale un femminicida e un investigatore incarnano alcune posture maschili verso il corpo della donna e verso il desiderio: omicide, rapaci o anche solo prensili. In ogni caso orientate verso un possesso: un «sapere maschile sul corpo» che si contrapporrebbe ad una potenzialità femminile di «sapere del corpo» (p. 222). Questa potenzialità, tuttavia, non va interpretata come un essenzialismo. Anch’essa si esprime all’interno di un dualismo; anch’essa è inscritta in una gerarchia di valore e disvalore tra maschile e femminile e può portare quindi a sviluppi nevrotici o patologici (basti pensare all’isteria o all’anoressia).

All’interno di questo percorso, il corpo parla quando si situa ai suoi stessi confini, nelle condizioni eccezionali dell’eros, del dolore, della malattia, della vecchiaia: frontiere esistenziali, cui sono dedicati moltissimi frammenti e molte riletture letterarie (qui l’elenco si apre a poetesse e scrittrici, da Achmatova a Szymborska). Ma – aggiungo io – il corpo femminile parla invece anche dal pieno centro di se stesso, non ha necessariamente bisogno di esorbitare da sé. La maternità, per esempio, può essere una straordinaria rivincita del corpo sul pensiero: è un corpo che chiede imperiosamente al pensiero di pensarsi attraverso la morte e la nascita di nuove parti psichiche. Altre soglie, quindi. Di una storia che deve essere ancora scritta.

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