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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

The Mechanic Reader. Digital Methods for Literary Criticism

[a cura di F. Stella e F. Ciotti, Pacini, Pisa 2015]

Utilizzare con cognizione di causa strumenti digitali per l’analisi quantitativa dei testi letterari è un’opera­zione tanto affascinante quanto complessa, special­mente per gli umanisti di professione. Il primo luogo comune da sfatare, in questo senso, è la convinzione che il critico si affidi a un “lettore meccanico” perché questi legga il testo per lui e fornisca al suo lavoro un’aura di pseudo-scientificità tale da svilire il contri­buto delle sue competenze individuali. In realtà, metodi come il text clustering o la sentiment analysis sarebbero del tutto improduttivi se il critico che se ne serve non fosse capace di conciliare la propria esperienza di specialista con le potenzialità del sof­tware. C’è bisogno quindi di una sperimentazione metodologica volta a mostrare anche agli studiosi più scettici che conoscere la tecnologia non significa solo stare al passo con i tempi, ma piuttosto miglio­rare l’efficienza di tecniche tradizionali alla luce di nuovi strumenti. Questa doppia esigenza di “infor­mare” e “testare” è stata alla base del primo conve­gno italiano di critica letteraria digitale e storia lette­raria quantitativa (Certosa di Pontignano 12-13 giu­gno 2015), i cui interventi principali sono stati raccol­ti nell’ultimo numero di «Semicerchio» (2015). La struttura del volume riflette coerentemente l’impo­stazione del convegno, aprendosi su due sezioni di natura teorica e concludendosi con una ricca e varie­gata serie di contributi in cui questi metodi sono applicati a opere di ogni epoca, genere e provenien­za (dalla poesia latina a Marco Polo, da Goethe a Bertolucci, da Leopardi a Pessoa). Un concetto che trova giustamente ampio spazio nelle sezioni iniziali è quello di distant reading, elaborato da Franco Mo­retti e frutto di una riflessione ventennale le cui co­ordinate culturali sono esaminate, con giudizi alterni, nei tre contributi di Fabio Ciotti, Alberto Comparini e Giorgio Guzzetta. Per Moretti, l’idea di lettura “da lontano” è una condition of knowledge che evidenzia una serie di «fatti e fenomeni letterari, sia sincronici sia diacronici, che non sono accessibili ai tradizionali metodi di close reading […] ma che richiedono l’a­nalisi di massa di centinaia o migliaia di testi e la loro considerazione come totalità, non come individui» (Ciotti, p. 13). Focalizzarsi sugli elementi quantificabili, quindi, non significa soltanto estendere il canone ereditato, ma anche concentrarsi su uno spazio che circonda la superficie “leggibile” del testo e che spa­zia dall'”estremamente piccolo” del dettaglio in ap­parenza insignificante all'”estremamente grande” di generi e sistemi che hanno contribuito all’esistenza del testo stesso. Anche se Moretti, abbastanza pro­vocatoriamente,dichiara che, tra questi due estremi, «the text itself disappears», molte delle applicazioni contenute nella terza sezione del volume dimostra­no che, sul piano dell’analisi concreta, l’opposizione tra distanza e vicinanza si può risolvere nella ricerca di un compromesso vantaggioso per entrambi i me­todi di lettura (come già sottolineato nella prefazione di Francesco Stella attraverso le citazioni di Freedman e Ross). Si potrebbe aggiungere che la sperimentazione metodologica raggiunge i suoi livel­li più alti quando sembra che sia la stessa storia del testo a richiedere analisi di questo tipo. Nel contributo di Simone Celani dedicato a Fernando Pessoa, ad esempio, i Sistemi Artificiali Adattivi hanno mostrato le enormi potenzialità dell’analisi quantitativa nel ri­costruire la dialettica tra le diverse voci poetiche dei noti eteronimi, dimostrando che la geniale capacità dell’autore di manipolare la lingua può ora essere studiata con una precisione e un’accuratezza prima impensabili. Anche quando la collaborazione tra uo­mo e macchina si fa più delicata e complessa, non bisogna dimenticare che la qualità dei risultati non dipende mai dallo strumento, ma piuttosto dal me­todo usato per farlo funzionare. Da qui, la necessità del critico di reindirizzare i propri doveri ermeneutici verso il dato all’apparenza intraducibile, una risposta che la macchina può ottenere soltanto se le viene riconosciuto il ruolo di indispensabile intermediaria tra il testo e lo studioso.

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