allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 87

gennaio/giugno 2023

Annie Ernaux, Memoria di ragazza

[trad. it. di L. Flabbi, L’orma, Roma 2017]

Memoria di ragazza parla dell’estate del 1958, quando Annie Duchesne (vero nome di Annie Er­naux) lascia per la prima volta la casa dei genitori per fare l’educatrice in una colonia estiva. È l’esta­te della libertà, della smania di perdere la verginità e della paura di non essere all’altezza; l’estate del­le vessazioni, della sottomissione alla crudeltà de­gli altri pur di provare l’eccitazione di appartenere a una comunità, perché «la felicità del gruppo è più forte dell’umiliazione» (p. 99). Memoria di ragazza racconta anche la vita di Annie Duchesne nei mesi successivi, quando persegue un disperato pro­gramma di perfezione e diventa «preda della pas­sione più triste che ci sia, quella del cibo, oggetto di un desiderio incessante e rimosso che non può realizzarsi altrimenti che nell’eccesso e nella ver­gogna» (p. 157).
Ogni volta che Annie Ernaux ripensa alla ragazza che era lei nel ’58 ha una sorta di mancamento: «Se il reale è ciò che agisce, produce degli effetti, secondo la definizione del dizionario, questa ra­gazza non è me ma è reale in me. Una sorta di pre­senza reale» (p. 27). Questa presenza è così forte perché niente sembra esserci in comune tra la scrittrice di oggi e quella ragazza del passato. Er­naux non crede ci sia continuità nell’io, non crede in un’identità coerente, raccontabile; l’ideale sa­rebbe quindi ritrovare i desideri e le sensazioni di quella ragazza del ’58 dimenticandone il futuro, abolendo gli psicologismi e la tentazione della cau­salità: «cosa scegliere di dire, dunque, che parole usare per coglierla, così come è esistita là, in quel pomeriggio di agosto sotto il sole variabile dell’Or­ne, ancora all’oscuro di ciò che soltanto tre giorni dopo sarà per sempre alle sue spalle, in quel preci­so momento senza spessore, svanito da più di cin­quant’anni?» (p. 32).
Memoria di ragazza non è la riproduzione di un passato, ma il tentativo di includere lo scorrere del tempo nella scrittura e usarlo come palinsesto di un racconto collettivo. E «palinsesto» è un termine dal sapore neoavanguardistico che Ernaux ha usa­to spesso, in formule diverse («sensazione palinse­sto», «tempo palinsesto», «vita palinsesto»), ma sempre per indicare quel procedimento che consi­ste nel riconsiderare la propria vita all’interno di un’esperienza comune, e trovare «la memoria del­la memoria collettiva in una memoria individuale», come ha fatto negli Anni. Per condividere con il let­tore il passaggio del tempo storico in un tempo in­dividuale, cogliendo un residuo di realtà nella mol­teplicità evanescente dei ricordi.
Ernaux considera la memoria come una forma di conoscenza non molto diversa da quella delle co­siddette scienze umane, che si basa cioè su un me­todo e ha come obiettivo la comprensione di una determinata realtà. In Memoria di ragazza parla di questo metodo, di una «nuova sintassi» (p. 85) in cui fondere esperienza individuale e collettiva per rac­contare un momento d’inconsapevolezza estrema, quando la vita era desiderio allo stato puro, e ag­giungere così un nuovo tassello all’ autobiografia og­gettiva che sta scrivendo da più di quarant’anni. Poco dopo la metà del libro si legge: «ci sono solo due tipi di letteratura, quella che rappresenta e quella che cerca, e l’una non vale più dell’altra se non per colui che sceglie di dedicarsi all’una piut­tosto che all’altra» (p. 150). Senza dubbio per Er­naux ogni libro è un’inchiesta che scandaglia nuo­vi luoghi della sua e della nostra esistenza. Malgra­do tutte le analisi, però, qualcosa di oscuro rimane: «nel progressivo aggiornamento di quella verità dominante su se stessi che la narrazione di sé ri­cerca per assicurare una continuità dell’esistenza, c’è sempre un elemento mancante: l’incompren­sione di ciò che si vive nel momento in cui lo si vi­ve, quell’opacità del presente che invece dovreb­be bucare ogni frase, ogni asserzione» (p. 177-178). E per fortuna, perché la vita non è fatta per fi­nire proprio tutta in un libro. 

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