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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Stephen Calloway, Lynn Federle Orr (a cura di), The Cult of Beauty. The Aesthetic Movement 1860-1900

[Victoria and Albert Museum, Londra 2 aprile-17 luglio 2011; Musée d’Orsay, Parigi 12 settembre 2011-15 gennaio 2012; de Young Museum, San Francisco 18 febbraio-17 giugno 2012. Catalogo a cura di S. Calloway e L. Federle Orr, V&A, London 2011]

The Cult of Beauty riunisce per la prima volta opere d’arte e oggetti d’uso quotidiano creati dagli artisti del “movimento estetico” inglese. Nella mostra non sono esposti solo dipinti, sculture o fotografie di Dante Rossetti, James Whistler, Frederic Leigh – ton, Alfred Gilbert, Julia Cameron (tra gli altri), ma anche i prodotti di aziende come Morris & Co e Liberty & Co. Mobili, oggetti per la casa, vestiti, accessori, libri di grafica, disegni per architetture di interni: tutti questi oggetti di design, come li chiameremmo oggi, sono disposti insieme ai quadri, alle statue e alle fotografie con una pari visibilità. Le sezioni della mostra seguono infatti più la cronologia (cinque sezioni per quattro decenni), che non la divisione delle arti (ristabilita però nel catalogo).

Questa scelta rispecchia l’intento dell’esposizione: proporre una diversa archeologia non solo dell’arte, ma anche della cultura e della forma di vita del nostro presente. Quello che si scopre grazie allo scavo nella Londra di Rossetti, Morris, Pater e Wilde non è meno importante di quello che ha rivelato l’altra capitale del XIX secolo, la Parigi di Haussmann, Baudelaire, Flaubert e Manet. Con i quadri, le sculture e le fotografie questi artisti rivendicano il primato della forma sul contenuto (il valore di un’opera è nel come e non nel cosa rappresenta) e l’autonomia della sfera estetica rispetto a qualunque agenda esterna (morale, politica o religiosa); queste due idee che l’arte contemporanea considera irrinunciabili si affermano quindi già con il “movimento estetico” inglese, che conquista il centro della scena culturale anglosassone fra il 1877 (data della prima esposizione alla Grosvenor Gallery di Londra) e il 1882 (quando Wilde tiene una serie di conferenze negli Stati Uniti).

Se il modernismo rompe con il “movimento estetico”, l’arte dei primi del Novecento si muove però all’interno di un campo artistico autonomo costituitosi nel secolo precedente. The Cult of Beauty ci consegna una storia dell’arte moderna sia più lunga, sia più ricca e mossa: alla linea unica che va dall’impressionismo (francese) al post-impressionismo (possibilmente non figurativo), si aggiunge infatti le linea che va dal “movimento estetico” al modernismo e oltre. L’estetismo non si afferma solo come fenomeno artistico, ma come un’estetica dell’esistenza. Questi esteti hanno un senso laico e immanente dell’arte (non sono i romantici): ciò che conta non sono le opere d’arte in quanto tali, ma l’esperienza del bello che permettono di fare. Se questo è vero, allora ogni oggetto bello vale un’opera d’arte: cade così ogni distinzione di principio fra le arti “maggiori” e quelle “minori”.

Se si toglie il riferimento alla bellezza (un concetto oggi diventato problematico), ci si rende conto che è qui che si trova una delle fonti dell’atmosfera culturale in cui viviamo – basta rileggere John Dewey, Susan Sontag o l’ultimo Foucault. L’obiettivo ultimo dell’estetismo è dare una forma alla vita, come se fosse un’opera d’arte. Per fare questo non basta un’estetica: ci vogliono anche un’erotica e un’economia. Gli artisti del “movimento estetico” non creano quindi solo opere d’arte, ma offrono modelli di comportamento e producono oggetti di consumo per la società inglese. Lo stile di vita ricercato di un gruppo di artisti londinesi diventa così una forma di vita: si producono, scambiano e usano oggetti per fare esperienze. Nonostante il passare dei decenni, la società dei consumi, con la sua estetica e la sua erotica (la cultura pop, l’uso dei piaceri) e le sue nuove discipline umanistiche (in particolare i cultural studies), sembra mantenersi eternamente giovane. Forse perché la sua immagine, dispersa negli oggetti, è custodita in questi quadri, sculture e fotografie coperti dal velo del tempo – bisogna avere il coraggio di toglierlo e guardare.

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