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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Francesco Pecoraro, “La vita in tempo di pace”

[Ponte alle Grazie, Milano 2013]

Non è facile dare una lettura equilibrata di La vita in tempo di pace, senz’altro uno dei romanzi italiani più importanti, per ambizioni e per esiti, usciti dopo il volgere di millennio; la difficoltà si manifesta a libro chiuso, quando, ammirati per la sua potente architettura fitta di vita e di pensieri, ci si deve chiedere che cosa questo libro faccia al lettore, quale tipo di reazione chiami; e soprattutto se su questo versante non si rifletta un problema, etico e concettuale, con cui l’autore è stato severamente impegnato.

La formula messa a titolo vuole essere l’epitome del sessantennio abbondante che va dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al 2015, il futuro molto prossimo o quasi-presente che ospita la parte terminale del libro, in cui la morte del personaggio principale – o meglio fagocitante centro cognitivo e percettivo di questa scrittura –, l’ingegner Ivo Brandani, sembra la logica conseguenza, nonché in un certo senso l’allegoria, dello scatenarsi delle passioni tristi di un’epoca, sulle quali Brandani, dopo averle lungamente e faticosamente combattute, alla fine monta tifando quasi apertamente per la catastrofe. Con lo spietato darwinismo biologico e sociale che ha tanto peso nel suo immaginare il mondo, Pecoraro descrive la pace degli ultimi decenni come una guerra senza tregua condotta con mezzi silenziosi, a meri scopi di sopraffazione: scena storica e fondale biologico funzionano secondo criteri perfettamente omologhi. Secondo un progetto tipicamente moderno e romanzesco, è attraverso l’exemplum di uno, un essere umano singolare e irripetibile, che il panorama storico-sociale viene attraversato; e ancora con una mossa tipica questo sguardo singolare sul mondo si incarna in un personaggio ingombrante, ossessivo, esasperato, insieme implacabilmente lucido e gravemente offuscato. La materia del romanzo, infatti, è costituita dalle riflessioni di Brandani, direttamente in prima persona oppure volte in terza da un narratore a tratti quasi consustanziale. La struttura del romanzo si occupa di comporre in un ordine questa materia vischiosa, evidenziando le forze principali che la muovono. Ci sono innanzitutto due direzioni temporali e due scale di percezione degli eventi, che si alternano nelle sezioni del libro. Da una parte, in avanti verso il futuro, verso la morte, c’è la narrazione dell’ultima giornata in cui Ivo è cosciente, quella in cui tale coscienza, assieme alla vita, va incontro a un tracollo rapido e definitivo: il 29 gennaio 2015. Dall’altra, a partire dagli anni Zero e all’indietro fino all’inizio degli anni Cinquanta, si trovano alcuni passaggi salienti, veri o verosimili, della storia italiana e non solo, eventi o tendenze significative (ad esempio l’inondazione di Roma, non accaduta ma verosimile, e il riflusso dei giovani usciti dagli anni Sessanta nelle file del ceto medio riflessivo, disilluso e mollemente disperato), sempre vissuti attraverso il sentire di Brandani. Se la parte “progressiva” è condotta con stile rivendicativo-raziocinante, quella “regressiva” vede crescere sempre di più, con l’allontanarsi dall’orizzonte del presente, uno stile emotivo e lirico. Anche perché questa parte poggia sull’epilogo del libro, quasi del tutto emozionale, in cui si prefigura il concepimento di Ivo, quando suo padre torna a casa dopo la Guerra. Il regresso dunque conduce a prima della nascita, verso la vita. E alla metà esatta del libro c’è la figura della sua struttura, e di una parte delle sue intenzioni: un ponte; passaggio, realizzazione pratica del miracolo concettuale di articolare, unendoli/separandoli, gli enti di pensiero, spazio transitabile ottenuto componendo le forze. Il problema cruciale del romanzo è quello di separare da Ivo Brandani, che vedendo andare a picco il suo mondo desidera che non ci sia futuro e che tutto il mondo muoia con lui, un canale, uno strumento, un’opera di trasmissione. Nessuno crede più che il dolore si muterà in gioia, ma forse la pura emozione che suscita la trasmissione della vita, la generazione, può lasciare aperto uno spazio in cui la vita, e l’avvenire, possono essere qualcosa di diverso dal male.

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