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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Laura Barile, Laura Barile legge Amelia Rosselli

[ Nottetempo, Roma 2014 ]

Laura Barile interpreta i testi di una delle voci poetiche più significative del Novecento europeo: una poesia difficile, ma non oscura, troppo spesso considerata oracolare e che invece Barile ci restituisce nella sua leggibilità indagando con grande intelligenza critica la natura complessa e stratificata di un’opera nella quale “risuonano” influenze letterarie, musicali, filosofiche.

Grande merito di questo lavoro è quello di aver coniugato rigore critico, completezza bibliografica e sforzo divulgativo: importante strumento didattico, ma anche e soprattutto concentrato di illuminazioni critiche e agnizioni di lettura.

La scelta del close reading ha l’obiettivo di dimostrare come la poesia rosselliana nasca (a differenza della poesia surrealista e di certa sperimentazione della neoavanguardia, a cui è stata spesso assimilata) da una volontà etico-politica di rappresentare il mondo attraverso il messaggio universale di una letteratura che sia «parola che esprima gli altri» (così Rosselli in un’intervista). Gli altri al centro del discorso poetico rosselliano sono «il povero», «l’analfabeta» con il quale Rosselli «sempre si identifica, tanto sul piano del potere sociale che su quello del potere intellettuale e del potere amoroso» (p. 48). Sono i protagonisti del romanzo di Scotellaro Contadini del Sud, le donne dei lamenti funebri raccolti nelle spedizioni etnomusicologiche da De Martino e Carpitella.

I testi scelti provengono dalla prima stagione poetica rosselliana: il poemetto La Libellula e la prima raccolta Variazioni belliche; l’unica eccezione è un testo da Documento, dal valore programmatico, che chiude un percorso di ricerca formale. Nel momento della “formazione”, l’autrice si confronta con la tradizione alla ricerca della propria voce: il suo è un “plagio” creativo, che «rovescia e distorce il testo plagiato» (p. 50).

Barile approfondisce due linee di ricerca tracciate dalla critica: la riflessione intorno al rapporto complesso tra musica e poesia e il legame con i modelli tra appropriazione e rifiuto, ovvero l’intertestualità. Per rileggere i testi di Rosselli – poeta ed etnomusicologa – Barile supera i confini dell’analisi stilistico-letteraria considerando «i fatti musicali come fatti poetici» (p. 41). A dimostrazione della validità di questo approccio, ricordiamo che nella biblioteca dell’autrice conservata nel Fondo Rosselli di Viterbo sono presenti numerosi testi di teoria musicale postillati. L’analisi formale sviluppata da Barile è incentrata sulla teoria degli armonici, concetto proveniente dall’acustica e che è oggetto dello studio rosselliano La serie degli armonici. Nei testi poetici di Rosselli «risuonano e si sviluppano gli armonici di determinate cellule verbali, ma anche di singole parole o frasi» (p. 46), i cosiddetti “fondamentali” che funzionano come refrains (frasi ripetute come «io non so» nella Libellula). Nelle Variazioni i fondamentali sono iterati e variati nel blocco quadrato dei versi, la “forma-cubo”, dove la tensione tra stream of thought e costruzione logica della scrittura dà luogo alla sintesi tra vissuto e storia.

La rivoluzione nella forma si accompagna a quella nel contenuto: l’io poetico nel monologo modernista della Libellula assume la voce ironico-sarcastica del fool che sfida la lezione dei “padri” (Montale, Campana, Rimbaud) e mette in scena lo scambio io-tu, «sempre lottando contro ogni abuso di potere» (p. 53).

Una «guerra erotico-amorosa fra io e tu» è presente anche in Variazioni belliche, insieme al tema della lotta sociale: la bontà della fanciulla che combatte «contro la barriera invalicabile del potere», e cade «sulla linea / della demarcazione tra poveri e ricchi» (p. 129). Ma la battaglia dell’io poetico è anche quella di una donna che racconta il desiderio-rifiuto della maternità: belly in inglese è il ventre materno. Contro la danza macabra della guerra, l’io donna, «incolume» perché può dare la vita, danza (la mia fresca urina spargo, p. 113), opponendo alla violenza «dell’ultima specie umana» la sua «congenitale tendenza al bene».

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