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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Daniel Oppenheim, Des adolescences au cœur de la Shoah. A travers Appelfeld, Kertész, Wiesel…

[Le bord de l’eau, Lormont 2016]

Medico di formazione, Daniel Oppenheim lavora ormai da molti anni sulle nozioni di memoria transgenerazionale, testimonianza indiretta, resi­duo mnestico e trauma ereditario. Dopo essersi occupato a lungo di bambini e adolescenti affetti da malattie croniche e, in molti casi, terminali, co­sì come di accompagnamento e reinserzione di giovani “radicalizzati” – a quest’ultimo argomento ha dedicato, oltre che diversi contributi scritti, an­che un ciclo di seminari destinato a sensibilizzare l’opinione pubblica francese ed internazionale -, in uno dei suoi libri più recenti torna ad affrontare di petto l’impatto delle catastrofi cosiddette “collet­tive” sul processo di maturazione e crescita dei nuclei famigliari. Facendo ricorso alla Shoah quale fenomeno paradigmatico per eccellenza, in questa raccolta di saggi Oppenheim tratta, da un lato, del­la fragilizzazione delle micro-strutture sociali ope­rata dai sistemi totalitari con l’obiettivo di poter esercitare un’influenza maggiore sull’immaginario dei singoli, dall’altro, delle diverse strategie di resi­stenza messe in atto dalle vittime, nella speranza di poter preservare non soltanto l’integrità fisica, ma anche una qualche forma di equilibrio psicolo­gico. Lungi dall’affrontare l’argomento in maniera trasversale e potenzialmente dispersiva, sin dalle primissime pagine l’attenzione è rivolta in partico­lar modo ai giovani. Forse più sprovveduti dei loro genitori, e nello stesso tempo creativi ed intra­prendenti come gli adulti non sanno essere, a se­guito di un’esposizione improvvisa alla violenza di massa, questi sembrano sviluppare sistemi di dife­sa che l’autore non manca di approfondire, avva­lendosi sia delle conoscenze acquisite grazie all’e­sercizio clinico, sia di testimonianze – spesso, ma non esclusivamente – di natura letteraria.

Fra gli scrittori presi in esame, alcuni dei quali esplicitati nel titolo, l’israeliano Aharon Appelfeld gioca un ruolo determinante.Le sue prose sem­brano infatti articolarsi tutte intorno al presupposto che, quando certe esperienze si fanno da pic­coli, per il resto della vita non si possa che tentare di stabilire un dialogo fra passato e presente, si­tuando il proprio trascorso in una sorta di limbo, dove solo sogni e visioni paiono in grado di ripara­re le fratture della Storia. In questa “terra di mez­zo”, le narrazioni si alimentano reciprocamente, nella speranza di poter assimilare la “riformulazione” a un dispositivo retorico in grado di catturare (e “strutturare”), se non altro sul piano simbolico, quello che resta della “verità”. Di questo processo, Oppenheim sceglie di mettere in evidenza soprat­tutto le implicazioni filosofiche, privilegiando sia lo “studio di casi”, sia l’analisi a campione di docu­menti il cui valore non può che essere amplificato dalla dimensione comparatista dell’opera nel suo insieme. In fondo, sebbene ciascun capitolo rap­presenti l’occasione per riflettere nei dettagli su aspetti diversi di uno stesso problema, quello che interessa l’autore non è tanto di ambire all’esausti­vità, quanto piuttosto di suggerire – tramite un ventaglio di esempi scelti anche perché comple­mentari (si pensi, fra l’altro, alla coppia Appelfeld­/Kertész)- la risposta a queste ed altre domande si­mili: perché, ma soprattutto per chi, è importante salvarsi, rimanere al mondo? A chi e di cosa biso­gnerà saper parlare “dopo”, nel tempo successivo alle ingiustizie subite? Quanto sarà più importante “ricostruirsi” invece che, eventualmente, “ricostru­ire”? Quale di queste due cose continuerà ad esse­re pensabile in assenza dell’altra?

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