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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Iacopo Leoni – Valerio Magrelli, Proust e Céline. La mente e l’odio

[ Einaudi, Torino 2022 ]

La critica – si sa – tende spesso a condensare il canone letterario di una o più generazioni nel confronto tra due personalità eccellenti; una simile inclinazione può del resto essere incoraggiata dagli scrittori stessi, talvolta fautori di conflitti, dispute, antagonismi. Per quanto riguarda il romanzo francese del Novecento, la contrapposizione più radicale è senza dubbio quella che riguarda Proust e Céline. Nel suo saggio, Valerio Magrelli indaga proprio i risvolti di questo complesso rapporto, scegliendo di approfondire le motivazioni che informano la rivalità astiosa nutrita da Céline verso l’autore della Recherche. Attraverso un approccio volutamente antiaccademico, ma ben consapevole del dibattito specialistico sull’argomento, Magrelli costruisce la sua argomentazione soffermandosi non tanto – o non solo – sui presupposti più strettamente biografico-psicologici di una tale, esibita ostilità ma soprattutto sulle sue implicazioni a livello estetico e poetico. Dopo una brillante premessa teorica volta a valorizzare l’odio in quanto categoria principalmente esegetica, e cioè come una nozione estetica capace di fungere da propulsore alla creazione letteraria, Magrelli procede a una presentazione in parallelo dei due scrittori, con lo scopo di porre in risalto i principali motivi che sostanziano l’aggressione postuma di Céline verso Proust. All’interno di una poetica deliberatamente fondata sull’odio, Céline non poteva infatti che individuare in Proust il simbolo privilegiato delle sue idiosincrasie, elevandolo a emblema di una radicale alterità culturale, sessuale e razziale. Va da sé che una simile ostilità trovi la sua più naturale linea di fuga in un’interpretazione divergente dell’espressione romanzesca: e ciò sia per quanto riguarda aspetti legati al contenuto – la realtà presa a oggetto dai due romanzieri non potrebbe essere più dissimile – sia per quanto riguarda decisive questioni stilistico-retoriche. Poste queste premesse, Magrelli ha ragione a ricondurre il discorso principalmente a un problema di forme: non solo perché la valorizzazione della componente formale dovrebbe essere l’ideale orizzonte di ogni studio letterario ma anche perché è proprio sul terreno dello stile che Céline gioca la sua partita contro Proust. Al francese accademico e innaturale della Recherche, visto come epitome di una lingua ormai giudaizzata e decadente, Céline oppone la reinvenzione – artificiale ma non per questo meno autentica – del parlato popolare: uno stile lavorato fino allo stremo con la maniacalità dell’umile operaio, al fine di riportare la palpitazione emotiva all’interno della letteratura. Si sa però che ogni odio – specialmente il più virulento – finisce sempre per celare un’ammirazione latente. Seguendo questa linea, Magrelli sceglie allora di far riferimento al saggio di Jean-Louis Cornille La haine des lettres. Céline et Proust (1995) per riprendere l’ipotesi – affascinante, ma da sfumare – secondo cui l’opera di Céline può essere letta come una gigantesca riscrittura di quella proustiana. Al di là di convergenze biografiche suggestive ma spesso di corto respiro a fini ermeneutici, conta rivelare una certa complementarità relativa a una concezione di letteratura fondata sulla trasposizione come unico modo per sublimare le sofferenze del vissuto. Se è vero che la dialettica tra realtà e trasfigurazione è una costante di questa generazione, è vero anche che nessuno più di Céline ne ha incarnato la radicalità dei presupposti, individuando nello stile il tessuto capace di unire l’esperienza personale alle potenzialità conoscitive del delirio. Ma è proprio nel momento in cui si va riconoscendo una simile, insperata fratellanza che non si dovrebbe rinunciare a porre l’accento sulla più decisiva delle varianti. Differentemente da Proust, in Céline non vi è infatti alcuna celebrazione salvifica dell’Arte poiché l’unico veicolo che consenta di arginare il Male è una coazione al dire che ha però pessimisticamente rinunciato a ogni prospettiva religiosa della letteratura.

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