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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Irina Vakar, Elena Voronovicˇ, Matteo Lafranconi (a cura di), Aleksandr Deineka. Il maestro sovietico della modernità / Matthew Bown, Evgenija Petrova, Zelfira Tregulova (a cura di), Realismi socialisti. Grande pittura sovietica 1920-1970

[ a cura di I. Vakar, E. Voronovic? , M. Lafranconi, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 19.2.2011-1.5.2011 ]

[ a cura di M. Bown, E. Petrova, Z. Tregulova, Roma, Palazzo delle Esposizioni, 11.10.2011-8.1.2012 ]

Il 2011 è stato l’anno dello scambio culturale Italia- Russia.

L’intesa bilaterale ha consentito di vedere a Roma due mostre importanti, che hanno definito l’orizzonte della cultura pittorica sovietica: una monografica sul suo pittore più importante, Aleksandr Deineka, e una di taglio storico-antologico intitolata Realismi Socialisti, sulle correnti e le figure di spicco di oltre 60 anni di pittura, grafica, fotografia e cinema.

Per la prima volta fuori dai confini russi è stato possibile ricostruire il senso complessivo dell’esperienza figurativa sovietica e, soprattutto, rimanere incantati dal suo più affascinante interprete: Aleksandr Deineka.

Le due mostre consentono di recuperare un senso unitario dell’esperienza pittorica del ’900: negli stessi anni delle trasformazioni formaliste e antifigurative occidentali, in Urss si sviluppava una controforza estetica convincente, di cui non sospettavamo neppure l’esistenza. Il contrasto fra i due mondi è netto ed elementare. La nostra pittura, per quanto scomposta in un caleidoscopio di differenti possibilità espressive, ha raccontato in fondo un unico e solo tema: la modernità come perdita e crisi della presenza.

Nelle opere di Deineka ci impressiona l’esperienza vissuta di un’altra modernità: è difficile non emozionarsi di fronte alla serie di quadri dedicati alla rappresentazione della vita quotidiana, dove il realismo socialista brucia la retorica della pittura ufficiale mostrandoci un’inedita serietà gioiosa del quotidiano – l’esatto opposto di quanto fa, con gli stessi mezzi e più o meno negli stessi anni, Edward Hopper negli Stati Uniti.

Nei quadri di Deineka la raffigurazione severa e classica ci restituisce l’immagine di un’umanità in riposo, orientata verso un futuro che può turbare, ma è carico di speranza. Si respira in queste tele quel senso della rivoluzione d’Ottobre come forma di vita nuova che oggi è così difficile immaginare pensando all’Unione Sovietica; ma che sicuramente è esistito, quanto meno a cavallo fra anni ’20 e ’30.

Le tele di Deineka popolano questa modernità, transitoriamente conciliata e sospesa, di persone comuni, più spesso giovani, sportivi, donne. Tre adolescenti sulle rive di un lago, volti di schiena e nudi dopo un bagno, guardano le linee scomposte di idrovolanti in volo. Una donna vestita di rosso ha conquistato in bicicletta una salita ripida, e ora può lasciarsi alle spalle la guerra di gradazioni di verde che colora le colline che ha attraversato; un’altra si fa ritrarre nuda, sul balcone, davanti alla spiaggia di Sebastopoli, inondata di luce. Ragazzini in vacanza si tuffano in mare, altri escono da un lago dopo un bagno e senza vestiti guardano verso lo spettatore, mentre un treno nero, minuscolo, all’orizzonte, tratteggia il confine oltre il quale la modernità di cui è segno si arresta: al di là dei binari corre verso l’infinito la campagna russa, l’immenso mare di terra di cui parla Tolstoj.

La luce di queste tele, quasi sempre zenitale, meridiana, inonda le scene di pace, di riposo, di gioia, con un colore e un ritmo che vira, attraverso la lezione del nostro Rinascimento che Deineka amava, verso un’ipotesi di assoluto: quella presenza a se stessi come immagine di desiderio di cui Bloch discorre nel Principio Speranza. Questa volontà di assoluto vibra come un desiderio, ed è credibile ed emozionante perché prodotta da uno sguardo che ha attraversato la fatica e la passione delle avanguardie.

Le tecniche di quegli anni – i tagli obliqui della raffigurazione, il continuo movimento delle figure rappresentate – sono ora impiegate per immettere energia e moto in una realtà in pausa dopo la rivoluzione; e la fanno vibrare come un’immagine proiettata su una vasta superficie nera, su cui vuole espandersi, conquistandola. E ci commuove oggi la forza di quel desiderio perché sappiamo riconoscere, in quell’inquietudine appena pronunciata, la paura per l’avanzare dell’ombra che l’avrebbe divorato.

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