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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Biancamaria Scarcia – Studi postcoloniali e neocolonizzazione (intervista a cura di Daniele Balicco)

(intervista a cura di Daniele Balicco)

Daniele Balicco: Per iniziare la nostra conversazione le chiederei un giudizio sull’impatto dell’opera di Said sulla cultura araba contemporanea.

Biancamaria Scarcia: La mia opinione sull’impatto dell’opera di Edward Said nel mondo arabo parte da una premessa. Esiste ormai una ricca bibliografia sul lavoro teorico di Said, una bibliografia importante con cui tuttavia raramente mi trovo in sintonia perché personalmente imposto il problema Said in tutt’altra maniera. Io lessi Orientalismo all’Istituto di Studi Palestinesi a Beirut, quando non era ancora stato pubblicato. Va detto che in quegli anni, parlo della fine degli anni ’70, non era ancora così chiaro ed esplicito, nella critica letteraria e nella storiografia, un problema che invece è molto chiaro adesso. Intendo la dipendenza totale dalla produzione teorica statunitense nel veicolare e mediare gerarchie di questioni e grandi personaggi.

Pur ammettendo tutta la buona volontà del personaggio, io credo che “l’operazione Said” non abbia favorito lo sviluppo nel mondo arabo di un pensiero critico autonomo. Possiamo dire lo stesso, restando a questi ultimi anni, del successo del pensiero di Gramsci, soprattutto fra gli arabi palestinesi. Non sarebbe corretto negare la vivacità di questa riscoperta e tuttavia non può neppure essere considerato irrilevante il fatto che il loro è un Gramsci letto in inglese e interpretato attraverso modelli ermeneutici statunitensi.

Questa condizione di dipendenza impedisce due cose importanti: anzitutto, l’emergere di una rielaborazione teorica autonoma dall’interno del mondo arabo, perché i mediatori sono tutti esterni e tutti appartenenti alla medesima area culturale e linguistica; in seconda battuta, ma è in realtà il problema centrale, questa condizione impedisce la conoscenza diretta dei testi. Una volta era un’idea condivisa, oggi non più e quindi dobbiamo ripeterla in continuazione: ogni traduzione è un’interpretazione. Ogni traduzione è una mediazione culturale.

Mi sembra evidente che leggere Gramsci in italiano o su una traduzione araba, ma filologicamente accurata e basata sul testo originale, non è la stessa cosa che leggere Gramsci in inglese o su una traduzione basata su una versione inglese. Questo per me è un punto dirimente.

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