allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Raffaele Donnarumma – Il faut être absolument hypermodernes. Una replica a Remo Ceserani

1. Giudizi (e generazioni?)

Con la cultura e l’acume che abbiamo sempre ammirato in lui, Remo Ceserani risponde alla sezione sugli «Anni Zero» di «allegoria» 64 e, in particolare, al mio saggio Ipermodernità. Ipotesi per un congedo dal postmoderno. In larga misura, Ceserani sviluppa la posizione che ha assunto da anni: il postmoderno rappresenta una frattura epocale, e la sua letteratura e la sua cultura hanno raggiunto risultati diseguali, ma spesso molto alti. Condivido, anzitutto, la fiducia nella possibilità, pur rischiosa, di una storia del presente; vari aspetti della sua ricostruzione; numerose osservazioni o principi direttivi che propone: perciò, darò per acquisito molto di quell’analisi. Giudico poi alcuni motivi di contrasto solo apparenti; ma su altri punti decisivi resto, invece, in disaccordo.

Prima di tutto, vorrei sgombrare il campo da qualche equivoco. Posso rassicurare Ceserani: sono ben lontano dal pensare che Pynchon o DeLillo o Rushdie non siano scrittori straordinari; sono un grandissimo fan di Gehry; non mi sono perso un film di Lynch o di Altman; ascolto spesso Philip Glass. E – bisogna dirlo? – giudicherei inabilitato alla parola pubblica chi non avesse letto, studiato e meditato i pensatori e i filosofi che hanno scritto tra anni Sessanta e Novanta e che, del resto, mi guarderei bene dall’etichettare tutti come postmoderni, per postmoderna che ne possa essere stata la ricezione.

Debbo aggiungere che, di fronte alle milizie celesti che Ceserani squaderna (e che includono, senza troppo amore di distinzione, «Nabokov, Pynchon, DeLillo, Vonnegut, Tournier, Pennac, Michou, Amis, Fowles, Barnes, McEwan, Byatt, Banville, Ishiguru, Kureishi, Rushdie, Ondaatje, Borges, Cortázar, Bolaño, Saramago, Marías, Vila-Matas, Bernhard, Jelinek, Hrabal, Kertesz, Kazakov, Murakami, Altman, Coen, ecc. ecc.») lo sparuto manipolo di nostri connazionali («Eco, Calvino, Tabucchi e Tondelli ») (p. 212) fa un po’ arrossire – con l’eccezione, anche se non entusiasmante, di Calvino (il quale, per altro, non ha mai preteso di entusiasmare); e con qualche simpatia per il primo Tondelli.

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