allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Maurizio Ferraris, Mobilitazione totale

[Laterza, Roma-Bari 2015]

 

Il libro invita a riflettere sulla condizione «totalmente mobilitata» dell’individuo contemporaneo: dobbiamo reagire a ogni segnale, essere pronti ovunque e sempre. Lo stile è quello diretto e trasparente di un nuovo pensiero engagé – il cui oggetto è la vita ai tempi del web – che attinge con disinvoltura a teorie della società e della normatività (anche giuridica), all’economia politica e all’antropologia, sullo sfondo del paradigma del «New Realism».

Il testo si apre con una brevissima narrazione. Un uomo si sveglia nel cuore della notte, vede sul cellulare una email di lavoro, risponde immediatamente come se avesse ricevuto un ordine perentorio. Il dover essere percepito dal soggetto proviene da una forza che esiste prima e oltre la mail. Un normativo diffuso, arcaico, lo chiama a mobilitarsi: deve agire. Non può non rispondere, altrimenti perderebbe il lavoro, la chance, la relazione: tutto.

Chi o cosa ci mobilita? La risposta di Ferraris è chiara: la chiamata alle «ARMi», Apparecchi di Registrazione e di Mobilitazione della intenzionalità (smartphone, tablet, etc.), che hanno il potere di indurre ad agire perché, nella loro ambivalenza, risolvono questioni creandone di nuove, come il pharmakon platonico; svelano vincoli (ci sentiamo in colpa se non controlliamo le mail) ma anche opportunità (comunichiamo in modo infinito e possiamo verificare seduta stante un’informazione). L’acronimo ARMi non è casuale. L’apparato non ha un corpo come il Leviatano, ma produce istanze governamentali degne della più invasiva biopolitica. Agisce oltre la microfisica del potere, attraverso una «fisica del potere»: le chiamate alle armi sono i tangibilissimi segnali trasmessi attraverso i messaggi. Le «munizioni», per restare nel gergo polemico che Ferraris mutua dalla «Mobilitazione totale» di Jünger, sono le tracce e le registrazioni che, nel linguaggio 2.0 e oltre, codificano dialoghi e dati: tracce che possono essere usate (come prove, ad esempio) e che proprio in ragione di questo potenziale mobilitano e responsabilizzano (concetto giuridico che, questo Ferraris lo omette, porta con sé la dinamica comunicativa domanda-risposta).

L’imperativo categorico è sostituito da quello tecnico – «se puoi, allora devi» – e il comando costruisce il legame sociale introducendo un surplus nella relazione. Se il potere, nella società mobilitata, si alimenta nei segnali e fra i segnali (che non si devono ignorare), l’azione si moltiplica all’aumentare del numero di registrazioni. Messaggi che a loro volta ne generano di nuovi, in un’autopoiesi esponenziale del Verantwortungsprinzip (principio di responsabilità) della dottrina penalistica tedesca. Il richiamo al discorso giuridico non è casuale: l’operazione più rilevante di Ferraris è interrogare le nuove forme di normatività. Il dover essere ha molte forme e la norma giuridica è solo una fra le sue possibili declinazioni. Siamo responsabili prima e oltre le azioni catalogate nei codici. Lo siamo perché entriamo in comunicazione con l’altro e partecipiamo della complessa rete di saperi (e doveri) che è il web: un vero e proprio «acceleratore della documentalità» fondato su dispositivi tecnici (automatizza), topologici (è smaterializzato e su di esso «il sole non tramonta mai»), ontologici (esiste diversamente rispetto ai mezzi di comunicazione ordinari). Gli apparati di mobilitazione e la loro portata normativa formano un grande inconscio collettivo «polemico e aggressivo». D’altra parte, questi apparati ci preesistono: una conseguenza discutibile della tesi realista secondo cui la realtà sociale esiste, resiste ed emerge (a questo tema è dedicato il suo prossimo libro, in uscita per Einaudi) al di là della sfera intenzionale degli individui, la cui esistenza è adeguata solo in quanto accoglie la sua dipendenza dal reale. Uno sguardo politico-giuridico sul fenomeno della mobilitazione suggerirebbe invece che non basta decostruire il costruttivismo soggettivistico. Meglio sarebbe mirare alla polarità fra realismo e intenzionalità soggettiva: un medio proporzionale in cui il soggetto è mobilitato, ma anche e anzitutto agente.

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