allegoriaonline.it

rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 87

gennaio/giugno 2023

Paolo e Vittorio Taviani, Una questione privata

[ coproduzione Stemal Entertainment, Ipotesi Cinema, Les Films d’lci, Rai Cinema, 2017]

L’ultimo film dei fratelli Taviani (e di tanti altri della loro famiglia), «ispirato al romanzo omonimo di Beppe Fenoglio» come dichiara la locandina, è un’opera deludente e non solo in rapporto al ro­manzo. Si ripropone l’antica questione del rappor­to tra cinema e letteratura, ma questo non è il fo­cus del presente discorso, anche se lo riguarda. È in gioco la memoria storica e la relazione tra le ra­gioni per cui ragazzi come Milton (il protagonista del film e del libro) si sacrificarono durante la Resi­stenza e il loro destino individuale (o “privato”). Si pone una questione umana generale del rapporto tra l’individuo e la Storia. La trasposizione della vi­cenda romanzesca sarebbe stata relativamente semplice, perché Fenoglio la scrisse anche per il cinema, ne fa fede la testimonianza del regista Giulio Questi, ma soprattutto per il ritmo e la strut­tura del libro: una corsa mozzafiato, in una nebbia che ottenebra i sensi, ma non la coscienza, una se­quenza di scene in rapida successione e una serie di flashback (quelli della relazione tra Milton e la capricciosa Fulvia), che danno un senso moderno alla vicenda. Il film dei Taviani ha un ritmo lento e riflessivo senza apparenti contenuti, nonostante racconti della caccia disperata di un prigioniero da scambiare con l’amico Giorgio, partigiano in mano ai fascisti. La sceneggiatura segue la linea del ro­manzo, fedele in apparenza fino alle singole battu­te, ma ne dà un senso del tutto differente. Dove se ne discosta (ad esempio nella scena dell’incontro tra Milton e i suoi genitori o in quella del prigionie­ro fascista folle, che nessuno vuole) sottolinea la dimensione “privata” della storia. Ma è soprattutto nella scelta finale che film e romanzo si discosta­no. In questo senso è onesta la dichiarazione della locandina che prende le distanze dal romanzo: es­sa è la spia semantica che denota come l’opera­zione dei Taviani sia consapevole. La critica lettera­ria ha discusso intorno a due passaggi del raccon­to di Fenoglio: il capitolo dedicato alla fucilazione di Riccio e Bellini, due giovanissime staffette parti­giane, come rappresaglia per il tenente della mili­zia repubblichina, che Milton ha preso prigioniero e ucciso tentando di impedirne la fuga; e la fine del romanzo in cui il bosco pare “far muro” e Milton «a un metro da quel muro crollò». È noto che quello che Calvino giudicò “il romanzo della Resistenza” è uscito postumo nel 1963 e per la vicenda dei ma­noscritti viene considerato incompiuto. Il titolo è probabilmente redazionale, sembrerebbe che l’au­tore fosse propenso a intitolarlo come la canzone dell’amore di Milton e Fulvia, Over the Rainbow, molto significativa. In particolare non si capisce se Milton sopravvive o muore. Penso che il finale sia deliberatamente aperto: la fine di Milton è sospe­sa come dilemmatica è la sua posizione rispetto alla Storia. I Taviani optano per la soprawivenza di Milton e nella scena finale del film gli mettono in bocca una battuta di Fenoglio, «Fulvia a momenti mi ammazzi!», ma con il tempo del verbo all’im­perfetto. Inoltre il capitolo di Riccio e Bellini è sem­brato alla critica come un’interpolazione di tipo collettivo, che stonerebbe con la storia tutta indivi­duale di Milton. In realtà la carambola del destino con la rappresaglia riporta la vicenda individuale di Milton e il suo ostaggio a un contesto collettivo, una costante della storia umana. Dunque aveva ra­gione Calvino: Fenoglio ha colto il senso universa­le della Resistenza, proprio nel dilemma tra indivi­duo e storia collettiva; i Taviani lo hanno sciolto op­tando per la ricostruzione, figlia dei nostri tempi, del tutto “privata” del destino di una generazione e di un popolo.

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