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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Barbara Julieta Bellini – Fernando Aramburu, I rondoni

[ trad. it. di B. Arpaia, Guanda, Milano 2021 ]

Alcuni libri si apprezzano come si apprezza la vita: con i suoi alti e bassi, la noia, le gioie e i dolori. Così si apprezza anche l’ultimo romanzo di Aramburu, I rondoni, il cui protagonista fa i conti con una vita che, come ci annuncia dalla prima di oltre settecento pagine, non gli piace più.

Toni, cinquantacinque anni, divorziato, insegnante di filosofia, decide di suicidarsi. Ma non subito: entro un anno, il 31 luglio 2019. E ogni giorno, fino alla data stabilita, scrive una pagina in cui riflette, ricorda, tira le somme. Il risultato ha l’apparenza di un diario: ogni pagina è preceduta dalla data, il narratore parla di sé alla prima persona, all’introspezione s’intrecciano riflessioni sulla società – la Spagna dalla dissoluzione del Franchismo al presente. Eppure la voce di Toni è così forte e l’estensione dei suoi pensieri così vasta, che il genere del diario, foss’anche di finzione, sta stretto a questo libro.

Non c’è una trama né un ordine prevedibile: mentre cerca di capire perché non vuole più vivere, Toni segue il filo dei ricordi, lo perde e lo riprende in un «un dialogo senza interlocutori, in prosa quotidiana», scritto, ammicca l’autore, «senza responsabilità da letterato».

Gradualmente, dall’affascinante confusione dei livelli temporali e tematici emerge tutto il mondo del protagonista: senza mai essere nominata, Madrid affiora dalle strade e piazze che Toni attraversa; e così pure si svelano, nel flusso dei ricordi, il padre temuto, la madre sottomessa e il fratello legato a lei da un amore malsano; l’odiata ex-moglie Amalia e il loro figlio Nikita, un «maledetto disastro» a cui Toni intende lasciare i suoi ultimi averi; Bellagamba, «peggiore e unico» amico, e la cagna Pepa; Tina, la bambola erotica e «ideale femminile» di Toni, nonché Águeda, luminosa figura che domina la seconda metà del romanzo. E altre figure secondarie: Diana Martín, Marta Gutiérrez, un misterioso mittente di note anonime. E una figura collettiva: i rondoni.

Mentre volano «senza pause, liberi e laboriosi», i rondoni sono l’oggetto ricorrente della contemplazione di Toni alla ricerca di un’alternativa alla «commedia» degli uomini. Quando non ne vede nel cielo, Toni si scopre afflitto da una «brutta e vischiosa solitudine», mentre dai congeneri non esita a isolarsi. Eppure il suo tono disincantato non inganna: per quanto si voglia un Meursault madrileno, preferisca «la calma del solitario» e si disfaccia dei suoi averi per alleggerirsi come un rondone, Toni è tutt’altro che indifferente. E benché ripeta a se stesso che la speranza che qualcosa di umano possa durare non è che un’illusione, lascia una traccia di sé, nelle sue pagine, per Nikita, e vede nella propria morte un nuovo incontro con il padre.

«Sventurato razionalista», ma non nichilista, perché legato a un senso intimo della dignità, Toni non racconta soltanto, ma valuta. Ragiona sulle parole che usa e non si oppone in modo stolido alla vita, ma la interroga grazie a un imponente bagaglio culturale che pure, dice, non gli è «mai servito a niente, tranne che a impressionare di tanto in tanto qualche incauto». Saremo incauti, allora, ma I rondoni è un libro che impressiona per l’equilibrio tra la lucidità del narratore e la sua autoanalisi a cui sembra sempre sfuggire qualcosa. Il lettore è chiamato a scoprire cosa: perché speriamo fino alla fine che Toni cambi idea? Cosa rispondiamo al suo compendio di una vita intera, con tutti suoi fallimenti, per giustificarla e convincerlo a proseguirla? E se è vero che «non è possibile conoscere nessuno in profondità», che cosa ci lega a Toni, dopo centinaia di pagine in sua compagnia?

Lui spesso ripete, alla fine di una pagina, di sapere «che cosa vuole dire», come se le parole non bastassero a far capire ad altri il suo pensiero. Ma al lettore sembra di capire benissimo cosa Toni intende, e che le parole, al contrario, buchino le pagine, tanto sono incisive. Per questo I rondoni è un grande libro: perché restituisce alla prosa, nella sua struttura più semplice di resoconto quotidiano, tutta la forza e l’intensità di cui è capace.

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