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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 88

luglio/dicembre 2023

Salvatore Spampinato – Bertolt Brecht, Dialoghi di profughi

[ trad. it. di M. Consentino, E. Trabucchi, M. Federici Solari, L’orma, Roma 2022 ]

Dopo il drammaturgo, il poeta, il cattivo maestro e teorico del teatro, oggi sembra finalmente arrivata anche l’epoca del Brecht prosatore. Dopo Romanzo dei Tui, Me-Ti e Romanzo da tre soldi,L’orma editore continua la sua riscoperta della prosa brechtiana recuperando una perla rara, i Dialoghi di profughi, pubblicati in Italia da Einaudi nel lontano 1962. L’antica traduzione di Margherita Consentino è rivista ora da Eusebio Trabucchi e arricchita da alcuni preziosi inediti tradotti da Marco Federici Solari.

Siamo in Finlandia nel 1941 e il profugo B.B. traspone la sua esperienza d’esilio sdoppiandosi in due personaggi: il fisico Ziffel e l’operaio Kalle. La verità, si sa, è dialettica e si costruisce attraverso pensieri che viaggiano in coppia. Ziffel e Kalle, lo scienziato e il manovale, sono due fuggiaschi tedeschi, ma sono anche i due volti complementari del socialismo brechtiano: la conoscenza scientifica e la saggezza popolare (il plumpes Denken). Sembrerebbe riecheggiare così la gramsciana connessione sentimentale tra intellettuali e masse, ma qui di sentimenti non si può proprio parlare. I dialoghi dei due personaggi, che si incontrano ora al bar, ora al parco, sempre con discrezione, non potrebbero essere più cinici, travolgendo ogni certezza con un’abrasiva ironia che sfiora il black humor: i campi di concentramento potrebbero essere propaganda dei nazisti, il passaporto è «la parte più nobile di un essere umano» che la custodisce come una cassaforte, la severa scuola prussiana è un’involontaria educazione alla lotta di classe, l’unico modo per salvarsi è sperare che la morale abbia «delle lacune nella sua applicazione» perché, se corrotto, il funzionario lascerà andare il fuggiasco. Tra le più esilaranti sferzate non si risparmia neanche il marxismo: un materialismo «trasformato subito in un’idea», una filosofia che costa troppo e a poco prezzo se ne trovano solo versioni indecenti senza Hegel e Ricardo. Su tutto trionfa il rifiuto dell’eroismo perché in un Paese in cui valga la pena vivere non c’è bisogno di virtù come la sete di libertà, la bontà o il dominio di sé. Alla fine i due strani conversatori pianificano di fondare una ditta di disinfestazione dai parassiti e si ritrovano, con un deus ex machina, a brindare per un socialismo che sia la fine di ogni virtù ma che per essere raggiunto ha bisogno di grandi sforzi e insieme di un grande egoismo.

D’altronde dialettica e ironia sono per Brecht la stessa cosa: hanno lo stesso modo di procedere per paradossi, per contraddizioni e demistificazioni, e La grande logica di Hegel «è una delle più grandi opere umoristiche della letteratura mondiale». Ma questa impalcatura satirica, apparentemente così distaccata, è in certi passaggi tradita da un trasporto pieno di livore e sconforto, come quando nel capitolo 16 si discute della pallida madre Germania. Anche per quest’opera vale la massima brechtiana per cui tutte le grandi opere hanno valore di documento. Lo stile del dialogo, agile, a tratti modernista, è insieme classico e antico: del resto, come afferma Kalle, «anche l’uomo in quanto tale è antiquato».

Come sempre è straniante la commistione di antichità e modernità, di distanza e vicinanza al presente. È straniante leggere questi Dialoghi tra i profughi di guerra, i migranti economici e i cervelli in fuga, tra le guerre – europee e non – e le democrazie liberali incapaci di sopravvivere senza scivolare nell’eversione di destra. Anche i dettagli sono umoristici: i carri armati Iveco usati dall’armata russa sembrano dare ragione a Ziffel sul fatto che la guerra, a volte, è il miglior modo per mantenere un altro tipo di pace. L’analisi più sorprendente è però messa in bocca a Kalle, nel capitolo 15: in un mondo in cui anche i pensieri sono merce, esiste una nuova classe di intellettuali che danno «in affitto agli imprenditori la loro testa» così come gli operai le loro braccia. Qualsiasi lavoro, anche il pensiero, perde valore e il piacere è solo un riposo dallo sfruttamento. Al di là dei brindisi, questo rimane un ottimo promemoria.

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