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rivista semestrale

anno XXXV - terza serie

numero 87

gennaio/giugno 2023

Massimiliano Tortora – Roberto Roversi, Vittorio Sereni, «Vincendo i venti nemici». Lettere 1959-1982

[a cura di F. Moliterni, Pendragon, Bologna 2020] 

Vittorio Sereni ha dieci anni in più di Roversi, è poeta affermato e già negli anni Ottanta punto di riferimento del panorama poetico del dopo-Montale. Eppure questo Sereni, così autorevole, nell’ultima delle sessanta lettere del carteggio che si distende dal ’59 all’82 (curato con competenza da Moliterni, già autore di una monografa su Roversi: Un’idea di letteratura, 2003) così scrive al suo interlocutore: «Provo, ho sempre provato, una certa soggezione nei tuoi riguardi senza sapermela spiegare». Cos’è che crea imbarazzo in Sereni, e ribilancia rapporti che dovrebbero pendere in tutt’altra direzione? 

La partita tra Sereni e Roversi non si gioca sul piano del dettato poetico: la stima reciproca non è mai messa in discussione, così come le distanze di registro costituiscono un motivo in più di dialogo, e non certo un elemento di separazione. Ma Sereni e Roversi in questo carteggio si fronteggiano sul tema dell’editoria, dell’industria culturale e dunque, in ultimo, del valore della poesia nell’Italia del boom economico. 

A livello di “lavoro editoriale” Sereni e Roversi, com’è noto, si situano agli estremi opposti: uno è quasi alla guida del colosso economico e l’altro sceglie il ciclostile e l’autoproduzione per smarcarsi dalle briglie del mercato. E questa differenza è il continuo terreno di confronto, che però non assume mai un taglio teorico, ma ha un aspetto pratico e contingente: le opere di Roversi. Roversi, dopo alcune uscite poco più che clandestine (Landi, Palma-verde e in ultimo Sciascia), approda con Caccia all’uomo a Mondadori, fino quasi a sentirsi parte del gruppo (relativamente al premio Salento, vinto nel ’59, scrive: «“l’essere di Mondadori” è stato un magnifico avallo»). Questa appartenenza non è solo uno stato emotivo, ma anche un vincolo contrattuale, che lega Roversi all’editore per tutte le successive opere («contratto, con relativa opzione»). Eppure proprio da questo vincolo Roversi consapevolmente si libera, pubblicando Dopo Campoformio con Feltrinelli. Il punto di rottura arriva però nel ’64, quando Roversi, già proiettato verso forme di editoria indipendente, decide di cedere il suo romanzo, Registrazione di eventi, a Rizzoli. Sereni, da parte sua, rivendica il desiderio, sincero, di non perdere l’amico come autore di Mondadori, e dall’altra ricorda, con discrezione e garbo, l’esistenza di un «contratto». Roversi invece ritiene «esaurito il […] rapporto, preciso e piano, e non troppo emozionante, con Mondadori». La contrapposizione, sia pure in piena amicizia, franchezza e correttezza, è frontale, e spinge Sereni a dire la sua, superando stavolta il caso singolo: «Stando a questo tavolo penso che esiste un “gioco” editoriale e che questo gioco sia una regola. La mia parte di comprensione delle necessità altrui sta sul modo di applicare questa regola; ma il gioco non può essere messo in discussione ogni volta. Altrimenti chiunque ha il diritto di fare ciò che gli pare e ciò che meglio gli conviene a seconda delle circostanze – e io dovrei fare harakiri. Lo si può fare una volta per tutte, ma non ogni volta e poi risorgere». Insomma Sereni non difende l’industria culturale (per lui «un lavoro per campare»), ma ne accetta l’esistenza, e dunque il principio di ordine che il sistema si porta dietro (e che permette, di tanto in tanto, «di fare dei libri nei quali si creda – chiudendo gli occhi su tutti quelli che si fanno per mille altre ragioni»). Roversi invece è colui il quale prova davvero a «fare harakiri […] una volta per tutte». Non c’è spazio all’interno del capitale, e l’unica soluzione – che non è una soluzione – è quella di sottrarsi al sistema. 

La separazione è netta, ma il dialogo è ftto. Da prospettive opposte, Sereni e Roversi vedono un cancro nel campo letterario: la grande editoria. Il primo cerca spazi d’azione al suo interno, l’altro la rifugge; ma nessuno dei due giunge a sciogliere il bandolo della matassa. Per questo devono parlarne continuamente; anche per ventitré anni di seguito: quelli del loro carteggio. 

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