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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Cecilia Benaglia – Anne-Marie Thiesse, La fabrique de l’écrivain national. Entre littérature et politique

È in particolare la prospettiva europea e mondiale adottata da Anne-Marie Thiesse a conferire originalità e importanza al suo ultimo libro, La fabbrica dello scrittore nazionale. Rispetto ai lavori precedenti dell’autrice, ma anche rispetto ad altri lavori che trattano della relazione fra nazione e letteratura, Thiesse propone qui una storia più ambiziosa: se la Francia continua a occupare un ruolo di rilievo nella sua analisi, si dà però anche ampio spazio ad altre letterature europee e non europee, mostrando come la circolazione internazionale dei prodotti artistici e culturali si trovi al cuore del processo di formazione di tutte le nazioni moderne. Quest’ultime sono definite non solo da frontiere geografiche, ma anche, e soprattutto, da frontiere «spirituali» che giustificano e danno forma alle prime. Ed è precisamente nella costruzione delle frontiere spirituali, considerate come proprie dell’«essenza» di un popolo, che la letteratura interviene per legittimare e sacralizzare. In questo contesto, lo scrittore è il sacerdote di un culto laico, e i generi letterari, primo fra tutti il romanzo, sono «forme simboliche» che incarnano lo spirito nazionale. Lo studio di Thiesse mette in luce, attraverso un percorso storico ricchissimo, il ruolo giocato dalla letteratura al servizio del potere politico, come soft power (termine coniato da Joseph Nye nel 1990) cruciale nelle relazioni internazionali. Lo scrittore nazionale è studiato come figura centrale nella costruzione non solo delle nazioni europee, ma anche dell’impresa coloniale e dell’ideologia che ha promosso per secoli l’idea di una superiorità europea sul resto del mondo.

Come i dibattiti contemporanei su immigrazione e identità mostrano chiaramente, se ce ne fosse ancora bisogno, le nazioni moderne si fondano sull’esclusione. La fabbrica dello scrittore nazionale, avendo come obiettivo quello di raccontarne lo sviluppo, dà poco spazio a coloro che si trovano ai loro margini (anche se questa non era necessariamente una scelta obbligata e costituisce, ai nostri occhi, l’unico difetto di questo brillante studio).

Così, fra i grandi assenti di questa storia ci sono le donne, perché, a parte rarissime eccezioni, non si dà l’esistenza di una «grande scrittrice nazionale». Le donne sono certo essenziali alla nazione, ma solo i loro corpi, non le loro produzioni intellettuali. Del resto, però, le scrittrici sono in buona compagnia, poiché la definizione di quello che è nazionale è molto limitata e l’opera letteraria «nazionale» si presenta come portatrice di valori universali, che rappresentano in realtà un universale maschile, bianco ed europeo.

Ripercorrendo la genesi e lo sviluppo della categoria di scrittore nazionale si capisce quindi come sia difficile, oggi, continuare a usarla di fronte a una letteratura fatta sempre più da scrittori e scrittrici, che scrivono in più lingue, che abitano più paesi e che sommano identità diverse, complicando le categorie critiche basate invece sulla sottrazione. Lo scrittore nazionale appare insomma oggi come una figura datata, e il paradigma nazionale sempre più come uno strumento insoddisfacente per descrivere i fenomeni culturali contemporanei. Al tempo stesso, come mostra Thiesse in un capitolo dedicato alle letterature africane, c’è una grande difficoltà a liberarsi completamente di questo paradigma, perché la costituzione di una letteratura nazionale è diventata una tappa essenziale per esistere a livello mondiale. Siamo sicuramente in un periodo di transizione e revisione rispetto a questi dibattiti, che richiede un ripensamento profondo dei nostri strumenti critici: il libro di Anne-Marie Thiesse contribuisce pienamente a quest’impresa attuale.

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