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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Erotismo e letteratura

Erotismo e letteratura. Antologia di scritti militanti (1960-1976)

[a cura di Giuseppe Carrara e Silvia Cucchi, Mucchi, Modena, 2022]

di Federica Condipodero e Agnese Pieri

Il volume Erotismo e letteratura. Antologia di scritti militanti (1960-1976) raccoglie interventi di scrittrici, scrittori e intellettuali italiane su questioni che vanno dalla censura all’aborto all’omosessualità. È stato curato da Silvia Cucchi e Giuseppe Carrara ed è uscito a maggio del 2022 per Mucchi editore nella collana diretta da Luigi Weber “Lettere Persiane”. In oltre 400 pagine di contributi, l’antologia racconta attraverso la lente polimorfa dell’erotismo la contaminazione che si determina a partire dagli anni Sessanta tra cultura, movimenti, politica e mercato. Nella sua declinazione culturale questa contaminazione avviene in tre modi: 1) nelle riviste e nei quotidiani, dove intellettuali più o meno engagés discutono del progressivo cambiamento dei costumi sessuali e delle istanze sollevate dai movimenti femminista e omosessuale (divorzio, aborto, contestazione del nucleo famigliare patriarcale); 2) grazie a operazioni editoriali ideologicamente posizionate – come, ad esempio, La poesia femminista (1974) o Poesia femminista italiana (1978) – e alla nascita delle prime Case e Librerie delle donne; 3) nella disseminazione di immagini erotiche nei film, nei libri e in uno spazio urbano che viene lentamente modificato dall’esposizione pubblicitaria di corpi femminili e dove, dopo la legge n. 355 del 1975, i prodotti pornografici si possono acquistare in edicola. 

Il volume ha quindi poco a che fare con la letteratura erotica propriamente detta e molto con la critica di stampo freudo-marxista che innerva il dibattito culturale negli anni Sessanta e Settanta e che agisce anche in campo letterario come innesco della produzione di nuovi significati e funzioni da attribuire al tema sessuale. Secondo la linea di pensiero critico che da Freud passa a Reich fino ad arrivare a Eros e civiltà di Marcuse, sono infatti la sessualità e la sua intelaiatura coercitiva all’interno della famiglia tradizionale le chiavi con cui forzare l’apertura di nuove possibilità di liberazione della donna e dell’uomo al di là delle strutture capitalistiche. A partire dagli anni Settanta, questa prospettiva critica viene aggiornata dall’azione dei movimenti femminista e omosessuale e dal terreno di scontro politico il discorso sulla sessualità dilaga e filtra altrove, nell’estetica come nella critica letteraria: si combatte la censura; si traccia o rinnega il confine tra erotismo (arte) e pornografia (oscenità);  si sviluppa la ricerca di nuove prospettive critiche, svincolate sempre di più da uno sguardo giudicato prettamente maschile; si osservano le modalità di rappresentazione letteraria dell’atto sessuale e dei personaggi femminili e «cresce l’esigenza» – scrive Vittorio Spinazzola nel 1976 su «L’Unità» – «di fronte alla marea di opere letterarie, artistiche, cinematografiche dedicate al fatto sessuale […] di criteri valutativi che consentano di distinguere le cose serie dalla paccottiglia»1, ossia i prodotti mistificanti da quelli in grado di creare nuove forme autentiche per pensare e immaginare l’amore. 

Scorrendo l’indice confonde, almeno in un primo momento, la diversità dei contributi antologizzati. Ci si chiede come stiano insieme, sotto il titolo Erotismo e letteratura, l’articolo di Pasolini sull’aborto, le accezioni di ‘erotismo’ secondo Norberto Bobbio, la prefazione di Moravia a «Simona» di Georges Bataille e l’analisi marxiana di Spinella sulle conseguenze della liberazione sessuale nei paesi a capitalismo avanzato. Il sottotitolo arriva però in funzione correttiva: se la categoria di «erotismo» è intesa, come abbiamo visto, nella sua accezione più opaca ma inclusiva di discorso e rappresentazione attorno a e della sessualità, quella di «letteratura» lo è tanto da comprendere anche il cinema o il Manifesto di Rivolta femminile affisso sui muri di Roma nel 1970. Da qui il senso degli scritti militanti selezionati da Cucchi e Carrara in tre anni di ricerche e che spaziano tra articoli, inchieste, lettere aperte, recensioni, manifesti e prefazioni di autori e autrici più o meno famosi, non tutte appartenenti al canone e in alcuni casi neanche noti come scrittori (insieme a Ginzburg, Moravia, Morante sono presenti, ad esempio, la regista Liliana Cavani, la critica d’arte femminista Carla Lonzi e lo psichiatra Marco Lombardo-Radice). Il criterio adottato dai curatori per organizzare il materiale è cronologico e non tematico, per cui i contributi si susseguono senza soluzione di continuità e sta ai lettori e alle lettrici l’individuazione di coordinate che aiutino a districarsi nel fitto insieme di voci, posizioni e argomenti. 

Pur lavorando su un materiale molto esteso, vario e difficile da selezionare, i curatori riescono a restituire la panoramica di un discorso che investe termini intra- ed extra-letterari: ricostruiscono un clima culturale complesso e rendono conto delle diverse sfaccettature che il tema erotico assume quando la sessualità smette di essere un fatto privato per assumere importanza politica. Cominciando dalle inchieste, strumento all’inizio privilegiato e sede di una riflessione prevalentemente estetica sull’eros nell’arte2, e passando per le teorizzazioni dell’erotico come linguaggio ormai logoro3, si arriva a una postura ricorrente soprattutto dai primi anni Settanta, che vede nella liberazione sessuale una forza solo apparente che in realtà finisce per fare i giochi del potere capitalista e fondare una nuova repressione4. Accanto a queste posizioni, un posizionamento militante, che parte dal sesso e dal corpo per incidere sulla società e anima un dibattito multiforme da cui emerge a tratti la difficoltà di «distinguere nettamente la preoccupazione letteraria da quella politica»5

Gli scritti più politici – il Manifesto di Rivolta femminile; Donna clitoridea e donna vaginale di Carla Lonzi incluso in Sputiamo su Hegel; Per una critica della questione omosessuale di Mario Mieli, analisi dei legami tra liberazione sessuale e capitalismo, e quindi tra omosessualità e proletariato – escono quasi in contemporanea a esperienze e iniziative che investono anche il piano letterario e culturale. In questo periodo nascono infatti le prime Librerie delle donne: a Milano nel 1975 viene fondata la sede storica di via Dogana – frequentata anche da Carla Lonzi, Carla Accardi ed Elvira Banotti – e a Roma, un anno dopo, le femministe occupano un palazzo abbandonato in via del Governo Vecchio trasformandolo nella prima Casa delle donne. Personale e politico si intrecciano al letterario e se il piacere clitorideo mette in discussione il dominio etero-patriarcale e la rigida divisione maschile-femminile (anche se un brano come Femministe con le ali, trascrizione di una seduta di autocoscienza, mostra tutta la difficoltà ad abbandonare la creazione di ruoli), svincolarsi dall’egemonia fallocentrica diventa un’esigenza anche artistica. Liberarsi dalla voce dell’uomo porta al separatismo e ai gruppi di autocoscienza e mutuo ascolto, nei quali riconoscersi per ritrovare la propria voce a partire da e grazie a quell’assenza. Uno dei possibili percorsi di lettura del volume potrebbe seguire il discorso che si sviluppa attorno all’emersione delle donne nello spazio extradomestico e comprendere gli scritti seguenti: Lettera sul matrimonio di Fausta Cialente, La mamma lavora di Anna Banti, il Manifesto di Rivolta femminile, Essere donne di Natalia Ginzburg, Donne e cultura di Biancamaria Frabotta e la prefazione di Gabriella Parca a I padri della fallocultura. Il filo rosso che unisce questi testi è la riflessione condotta da prospettive e con strumenti diversi (quelli della scrittura giornalistica, militante, della critica letteraria) sulle condizioni e sulla rappresentazione della donna nella società e nella letteratura. Le questioni affrontate vanno dall’educazione sessuale al rapporto tra femminismi e lotta di classe, dal posizionamento delle scrittrici nel mondo del lavoro culturale alla possibilità e utilità, o meno, di individuare una specificità di forme e contenuti della scrittura delle donne. 

Cialente, lucida e in anticipo sui tempi (1962), riconosce come uno dei punti di partenza imprescindibili per la trasformazione della famiglia tradizionale la «rivoluzione completa della educazione sessuale della donna, ivi compresa l’assistenza medica autorizzata da uno stato moderno per i figli che non si vogliono avere»; Ginzburg, dieci anni dopo (1973), critica il femminismo come «atteggiamento dello spirito» e afferma che «poiché sono le donne a generare i figli, il peso di accudirli e crescerli tocca soprattutto alle donne»; Anna Banti (1963) riflette sulle sue protagoniste, che si trovano in uno stato di «inferiorità femminile nei confronti della famiglia e della società», costruite in questo modo per spingere l’uomo e la società verso una riflessione su famiglia e maternità6. Nella conclusione di Donne e cultura, Frabotta circoscrive alcuni dei problemi che nei decenni successivi avrebbero ampliato i confini della critica letteraria: «che rapporto esiste tra il prodotto letterario di una determinata epoca e le condizioni della donna? Quali sono i contenuti più tipici e le scelte formali predilette dalla letteratura femminile? Si può parlare, anche per il passato, di letteratura femminile in senso non deteriore, ma di originalità e autonomia?». Sono questi i termini di un dibattito che si colloca all’incrocio tra critica letteraria e femminismo militante e che inizia a delinearsi soprattutto a partire dal Sessantotto in poi, quando la contaminazione diffusa tra politica e cultura si realizzava per le scrittrici militanti in un’epica di progressiva conquista dello spazio pubblico: «spazio non concesso […] bensì conquistato palmo a palmo, non solo per noi ma per tante, per tutte, e per la defallocratizzazione della cultura, per la sua inter-sessualizzazione, ossia perché la cultura (e la poesia) sia fecondamente investita da problemi, da temi, da tecniche, da ricerche, da moduli di espressività finalmente diversi, divergenti»7

Un esperimento in questa direzione è rappresentato da quello che sembra il primo tentativo di critica femminista in Italia e su cui è istruttivo soffermarsi: I padri della fallocultura di Bibi Tomasi e Liliana Caruso uscito nel 1974 all’interno di Fatti e misfatti di SugarCo, una collana dedicata a titoli su società e costume con prospettive – più o meno – sovversive. Il modello del libro si ravvisa nel testo di Kate Millett pubblicato nel 1970, La politica del sesso, sulla scia del quale Tomasi e Caruso leggono le opere dei grandi della letteratura italiana (il sottotitolo del libro è infatti La donna vista da Moravia, Brancati, Pavese, Cassola, Sciascia, Berto, Buzzati e altri narratori italiani d’oggi) non solo secondo criteri estetici, ma anche in chiave politica e sociale, «in base ad un’analisi psico-sociologica dei loro personaggi maschili e femminili»8. Dalla prefazione, scritta da Gabriella Parca e inserita da Carrara e Cucchi nella silloge, si evincono gli elementi più rilevanti della critica portata avanti dalle due autrici, che sottolineano come i personaggi femminili costruiti dai narratori italiani siano, dietro l’apparenza di diversità, tutti riconducibili a un unico modello plasmato dalla cultura patriarcale. Lo spazio letterario riproduce, almeno in parte, lo spazio sociale: se questo è fatto dagli uomini per gli uomini, allora anche nelle finzioni del libro la donna esiste non in autonomia, ma in funzione del maschio. In un momento di rivendicazioni politiche e ricerca di nuove infrastrutture sociali, la letteratura si presenta come una forza conservativa, dato che gli scrittori presi in esame sembrano ignorare tutto ciò, senza porsi «il problema di chi è la donna, cosa vuole, cosa cerca»9. Quella che sembra ignoranza si rivela essere una posizione strenuamente patriarcale, come dimostrano le risposte di alcuni dei padri fallocratici, raccolte da Sergio Maldini in un’intervista uscita su «La Fiera Letteraria» nello stesso 1974: a difendersi troviamo Berto, Castellaneta, Patti, Parise, Soldati e Moravia10. Scorrendo le difese degli autori ci si imbatte in una prevalente delegittimazione del lavoro di Tomasi e Caruso e del movimento femminista in generale. Ritorna spesso l’assunto di memoria freudiana secondo cui le donne, e le femministe in particolare, siano castrate («donne chimicamente sbagliate»; «uomini mancati»; «vogliono sostituirsi a noi») e, di conseguenza, soffrano per la mancanza del fallo, ossia per il desiderio di potere. Altro argomento ricorrente è il realismo: si rappresentano le donne per quello che sono, per come si mostrano nella vita vera, che deve essere descritta quasi con puntiglio naturalista. Emerge la misoginia degli intervistati, alcuni dei quali sostengono persino che le donne non possano avere più di quanto hanno già: si ricordi che era il 1974 e la patria potestà sarebbe stata eliminata l’anno successivo, mentre il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza sarebbe stato ottenuto solo nel 1978. 

In ultima analisi, Erotismo e letteratura ci sembra utile per due motivi. Immaginando una sua possibile inclusione all’interno della bibliografia di corsi universitari di letteratura italiana contemporanea, il libro si presenta come uno strumento storico-critico utile perché mette a disposizione di chi legge un novero di testi altrimenti dispersi e dimenticati, ai quali non è facile avere accesso: si tratta infatti di interventi occasionali, usciti magari solo su quotidiani o in rivista e che, nel caso siano di scrittori famosi come Ginzburg o Moravia, non sono noti per il loro minor valore letterario rispetto ai romanzi; oppure, ad esempio, gli scritti di teoria femminista di Carla Lonzi, quali Sputiamo su Hegel, Taci, anzi parla, Vai pure, Autoritratto, ripubblicati tra il 2010 e il 2013 da Et al. Edizioni e di fatto introvabili. Collocando alcuni nomi del canone sullo sfondo extra-letterario ridefinito dal cambiamento dei costumi sessuali e dei rapporti tra i generi, si mette a disposizione dello studente una lente diversa dal solito per guardare alla produzione letteraria: cosa pensava Ginzburg del femminismo e del diritto all’aborto? C’è una relazione e, se sì, di che tipo tra la condizione femminile e il modo in cui Ginzburg parla di sé nei suoi scritti? L’antologia permette quindi di farsi un’idea della posizione assunta da alcuni dei nostri scrittori più importanti sulle questioni politiche e sociali su cui si sono pronunciati e di conoscerne un lato, quello più strettamente legato all’attualità, che resta in ombra durante un normale percorso scolastico e universitario. Il secondo motivo è che, nello stesso tempo, il volume fornisce anche un’immagine complessiva del dibattito in corso in quegli anni proprio per la varietà delle posizioni accolte e ha, in tal senso, il pregio di ampliare i confini di un discorso altrimenti monopolizzato dalle voci più note. Per esempio, si cita spesso l’articolo di Pasolini contro l’aborto (gennaio 1975), e poco i brani di altre/i intellettuali che intervenivano sulla questione da posizioni diverse (in certi casi rispondendo direttamente a Pasolini): Vanna Vannuccini, Un antifemminista al mese; Dacia Maraini, Tra morale e realtà; Giorgio Manganelli, Risposta a Pasolini; Leonardo Sciascia, Sciascia su Pasolini, non dileggiare i cattolici

La prospettiva orizzontale e contaminante dell’antologia, che non traccia distinzioni preventive tra tipologie di testi, contenuti e autori, riproduce la pluralità delle riflessioni e delle forme di intervento nel dibattito pubblico sulla sessualità. L’operazione di Cucchi e Carrara assume valore anche in considerazione dell’ampiezza tematica coperta dagli interventi antologizzati. Infatti, nonostante la vastità del campo da circoscrivere, la selezione dei testi non è scontata e testimonia sia la politicizzazione progressiva del dibattito critico sia la pluralità degli argomenti intorno cui si strutturava e delle sedi dove si svolgeva. Tuttavia, proprio perché l’operazione è un lavoro di scavo su un sapere sommerso, pensiamo che un grado di inclusività così alto avrebbe richiesto da parte dei curatori una mediazione più profonda della breve panoramica sugli anni Sessanta e Settanta a introduzione del volume: per dare effettivo valore a molto del materiale recuperato avrebbe aiutato un’introduzione ai testi, anche solo storico-filologica, in grado di bilanciare lo scarto effettivo tra voci che non godono della stessa fama (pensiamo a un Pasolini rispetto a un Mario Mieli) e di collocare i singoli contributi all’interno dell’attività letteraria, culturale e/o politica degli autori. Un esempio: con la Lettera uscita su «L’Unità» nel 1962, Fausta Cialente risponde a un articolo di Maria Antonietta Macciocchi – scrittrice, giornalista, femminista militante prima del PCI e poi del Partito Radicale e direttrice nella prima metà degli anni Cinquanta del settimanale Noi donne – su due film che parlano della «donna italiana», la Notte di Antonioni e Divorzio all’italiana di Germi. Un’introduzione che riassumesse il contenuto dell’intervento di Macciocchi avrebbe permesso, oltre a chiarire alcuni riferimenti presenti nella Lettera di Cialente, di tracciare i profili di due figure attive nel panorama politico e culturale italiano del secondo Novecento poco o per niente note tra i lettori più giovani. Lo stesso vale, a prescindere dal contenuto specifico dei loro interventi, per altre figure estranee ed esterne ai manuali di storia della letteratura italiana come Mario Spinella, Marco Lombardo-Radice e Ugo Marzuoli, oppure presenti ma meno note rispetto a Ginzburg, Moravia o Montale, come ad esempio Anna Banti o Biancamaria Frabotta.

Ciò comunque non diminuisce il valore di Erotismo e letteratura, che riteniamo uno strumento efficace per storicizzare la discussione intorno alla sessualità e, ancora prima, per farla conoscere a un pubblico di lettori e lettrici giovani in un presente dove «l’orizzonte in origine ben definito (femminile) acquista complessità man mano che le identità marginali (o presunte tali)»11 agiscono per una sua ridefinizione e dove alcune delle questioni sorte nel passaggio cruciale e complesso dagli anni Sessanta agli anni Settanta non sono ancora esaurite: se la polemica contro la famiglia tradizionale o contro la censura di contenuti sessualmente espliciti ci sembra il cimelio di un tempo lontanissimo, la reazione è diversa di fronte agli articoli sul diritto all’aborto, per il quale il piano politico della discussione resta quello centrale. Infine, la riscoperta e la valorizzazione critica di autrici e saggi di critica femminista al di fuori di corsi di studio specifici (Gender Studies; Storia delle donne e di genere ecc.) e all’interno dei corsi di letteratura italiana ci sembrano il primo passo 1) per far sì che approcci di lettura dei testi che adottino (anche) una prospettiva femminista siano riconosciuti non solo come pienamente legittimi rispetto ad altri più consolidati, ma soprattutto che con questi si integrino e dialoghino e 2) che emergano sempre di più nomi e figure di critiche, scrittrici e teoriche geograficamente e culturalmente ai margini rispetto al centro di una tradizione di studi di matrice prevalentemente anglo-americana.


 1 Vittorio Spinazzola, Erotismo e pornografia, in Erotismo e letteratura, p. 445.

2 Sesso e letteratura, inchiesta a cura di Luigi Capelli; Otto domande su erotismo e letteratura, L’erotismo nel cinema, inchiesta a cura di Luigi De Marchi. 

 3 «Un tedio mortale allunga la sua ombra sulla stessa parola “erotismo”», Calvino, Otto domande su Erotismo e letteratura, p. 64. 

4 È l’opinione di Fortini, Cases e Pasolini, solo per citarne alcuni. In un certo senso, anche se da premesse diverse, arriva a conclusioni simili anche Marco Lombardo Radice, che registrava la rapidità del passaggio «da una prassi brutalmente repressiva a una (relativa) tolleranza», Sesso e repressione sessuale, p. 432.  

5 Introduzione, in Erotismo e letteratura, p. 24. 

6 Erotismo e letteratura, p. 142, 313, 146. 

7 Mariella Bettarini, Le donne e la poesia, in Poesia femminista italiana, a c. di Laura di Nola, Savelli, Roma 1978, p. 162.

8 Gabriella Parca, Prefazione a I padri della fallocultura, in Erotismo e letteratura, p. 329. 

9  Ibidem, p. 335. 

10 È interessante come quest’ultimo, qualificato da Tomasi e Caruso come «il padre dei padri della fallocultura» (Risposte a I padri della fallocultura, in Erotismo e letteratura, p. 345), sia al contrario oggetto di verifica positiva nella «radiografia di un femminista» condotta da Carla Ravaioli in un libro da cui Carrara e Cucchi traggono l’introduzione e l’epilogo (Carla Ravaioli, La mutazione femminile: conversazione con Alberto Moravia sulla donna, Bompiani, Milano 1975).

11 Nicoletta Vallorani, Femminismi e sguardi queer, in Teoria della letteratura. Campi, problemi e strumenti a cura di Laura Neri e Giuseppe Carrara, Carocci, Roma 2022, p. 311.

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